domenica 18 dicembre 2011

IL MIO NATALE: NATALE CON CHI VUOI di ALEX MILLER


Domenica, maledetta domenica.
Il Natale si avvicina e i racconti continuano a fioccare nella mia casella postale. Non posso che essere felice di questa abbondanza di spunti, idee e racconti. Ho pensato persino di raccoglierli in una antologia tematica, presentarlo e metterlo in vendita in uno dei tanti portali di self-publishing e donare poi, gli eventuali guadagni (si spera sostanziosi) a un'associazione umanitaria come EMERGENCY che cura e salva tante persone ferite e malate nel mondo.
Cosa ne pensate? E' un'idea folle?
Ci sono diversi aspetti da prendere in considerazione: non è mica scontato che gli autori che hanno partecipato sul blog con un loro racconto siano interessati alla donazione del testo per un'antologia del genere e con tali finalità. Un'amica mi ha proposto di tentare con qualche casa editrice per il prossimo Natale. Potrebbe essere un'idea, anche se dubito che ci sia qualche casa editrice piccola o media interessata a una raccolta di racconti natalizi senza nomi di spicco.
Pensiamoci su. I vostri pareri e consigli sono per me importanti.

Ora passiamo al racconto di oggi. Me lo invia ALEX MILLER. Non so se sia uno pseudonimo o il primo straniero che dice la sua sul Natale.
E' un racconto"diverso" e per questo interessante e gradito.
Nella presentanzione del testo l'autore scrive: "I personaggi, i fatti e i luoghi di questa storia, tranne Firenze ovviamente, sono del tutto inventati."
Non vi resta che leggerlo...buona domenica a tutti!


NATALE CON CHI VUOI

Potrei passare le ore a guardare il fuoco e fantasticare. Quando inizio ad accenderlo - ai primi freddi dell’autunno - non mi sento più solo.
C’è lui a farmi compagnia, a parlarmi scoppiettando, ad incantarmi con scintille e guizzi improvvisi.Unico amico fidato che mi abbraccia col suo calore.
Arrivo stanco dal lavoro, frastornato dalle richieste dei clienti, ma trovo sempre il tempo di accenderlo.
Faccio presto.
Sono solito mettere  la legna nel camino al mattino quando mi alzo, ancora in pigiama, poi mi faccio una doccia, mi vesto accuratamente con il completo grigio scuro e parto verso il centro di Firenze, dove lavoro.
Mi chiamo Guglielmo.
Sono commesso in un negozio di scarpe prestigioso.
Non c’è mai domenica, Natale o estate.
Cambiano i modelli ma non i turisti, non i clienti. Tutti esigenti, spesso  disorientati da troppa offerta oppure fissati solo con un unico modello.
Solo oggi ho perso due ore con un’americana dai piedi enormi che voleva un paio di stivali foderati di pelliccia che le stavano troppo stretti.
Sono esausto.
Decido di spogliarmi e infilarmi una tuta morbida e calda, attizzare  il fuoco e cuocere una bistecca e delle castagne.
Un bel bicchiere di vino corallo luccica sul tavolo.
Lo faccio scaldare.
Fuori è  freddo, e in casa , quando non ci sono, la temperatura scende a 16 gradi.
Ho qualche brivido, ma il primo fuoco già  mi scalda e mi dà una sensazione di benessere.
È il 24 di Dicembre, il giorno del mio compleanno. La vigilia di Natale.
Sono solo, ma non triste, in fondo lo sapevo che sarebbe stato così.
Sono andato via da casa appena maggiorenne; ho cercato un lavoro.
Ero diverso dai miei amici: fine, delicato, alto e magro, molto femminile diceva qualcuno, molto gay dicevano altri…
Non volevo più mettere in imbarazzo mia madre e sono fuggito dal mio piccolo paese.
Vivo qui, nella cascina di mia nonna, sulle colline di Firenze; non quella di Fiesole, dove  stanno i ricchi, un’altra, dopo Prato, un po’ distante dalla città. Questa era l’unica  casa disponibile dopo la morte della nonna, e mia madre, dolce e cara, me l’ha proposta per provare a vivere lontano dalle occhiate curiose.
Non è ben messa: spifferi, tegole malandate, qualche goccia d’ acqua che entra dal tetto quando fuori inizia a piovere forte, come stasera, come ora.
Mangio da solo.
“Buon compleanno Guglielmo” mi dico, sempre da solo mentre  brindo a me stesso.
Quasi godo pensando a quanti invece stanno in mezzo a decine di parenti urlanti. Mi piace il silenzio e la voce del fuoco, piccole grida tremolanti, le ombre sulle pareti screpolate…le mie mani lunghe come coltelli, con cui spesso penso di ammazzarmi.
Sento bussare.
“E no!” mi dico. “No, no. Stasera basta gente!”
Taccio.
Si stancheranno.
Non voglio alzarmi, sto festeggiando il mio compleanno e la vigilia di Natale.
Bussano ancora.
“D’accordo arrivo!” dico tra me…
Apro.
Una folata di vento freddo e  umido, misto a odore maschile mi invade la stanza.
È un ragazzo, credo, dalla corporatura.
Non è  facile individuarlo sotto un cappuccio nero e abiti oversize.
Rimane sulla porta.
«Desidera?» gli chiedo. Non risponde.
«O entra, o esce…si decida.»  e cerco di richiudere non senza difficoltà.
Lui si cala il cappuccio e scopre il  viso.
Un viso bellissimo, cosparso di miriadi di goccioline tonde e lucenti: la pioggia.
È biondo, con occhi scuri infinitamente dolci. Sembra un angelo ma ha qualcosa di carnale che mi turba. Si scusa, è in imbarazzo.
Ha la macchina ferma, guasta o non sa cosa.
Proprio davanti al mio cancello,  anche lui sgangherato e sempre aperto come il mio cuore.
Gatti e cani randagi abitano con me, una cascina che sembra l’arca di Noè da cui esce ogni mattina un tipo tutto azzimato, che sarei io.
Mi viene da sorridere all’idea.
Lui pensa che lo stia facendo per cortesia e si presenta:
«Mi chiamo Tommaso, stavo andando a festeggiare la vigilia da alcuni amici ma la mia auto, a quanto pare, non ne vuole sapere di proseguire.»
«Mi dispiace, per l’auto e per la festa. Qui non ci sono molte case abitate, devi esserti pure perso» dico scortandolo verso il camino e facendolo scaldare al fuoco.
Lo guardo: è proprio bello.
Mi ritrovo a pensare che una festa con questo ragazzo, l’avrei desiderata anch’ io. Magari intima e con poche persone. Lui solo…
«A proposito, come ti chiami?»
«Guglielmo.»
«Allora Guglielmo, hai un telefono? Magari  mi vengono a  prendere, il mio cellulare è scarico.»
Lo fisso incuriosito: ho trovato uno più sfigato di me!
«Sì certo, ora lo prendo, ma intanto siediti. Stavo arrostendo delle castagne. Oggi è il mio compleanno e le mangio sempre per il mio compleanno. Diciamo che le aveva mangiate mia madre la sera in cui ebbe le doglie, e poi io ho continuato l’usanza.» Rido; anche lui. Ma perché gli sto raccontando queste cose?
Si toglie il giubbotto bagnato e lo appoggia sopra una sedia, poi si mette seduto accanto al fuoco ed inizia a smuovere i frutti nella padella.
Io cerco il cellulare nella borsa.
È strano, non lo conosco, ma con lui mi sento a mio agio.
La scena mi sembra famigliare. Eppure non l’ho mai visto prima d’ora.
Gli porgo il telefono. Lui mi guarda. Inizia a comporre il numero, poi si blocca.
Mi guarda ancora.
«Ti dispiace se rimango a farti compagnia?» mi chiede, «mi sembra brutto lasciarti solo per il tuo compleanno e poi, a dirla tutta, non ho molta voglia di andare a festeggiare la vigilia con gli amici. Fa freddo, piove, qui c’è un bel fuoco, vino, castagne e…un …bel ragazzo solo soletto che mi sembra triste.»
Arrossisco.
Meno male che il fuoco manda bagliori rosa sui nostri volti, li accende e li confonde.
Io rimango un po’ spiazzato dalla richiesta. Uno sconosciuto, in casa mia, di sera, soli. Ho un po’ paura.
Vorrei tanto che rimanesse, che mi facesse compagnia. Ma gli insegnamenti di mia madre mi rimbombano nel cervello. Già ho fatto una sciocchezza facendolo entrare in casa.
Resto un po’ indeciso, lui mi fissa con occhi molto teneri, assolutamente in attesa, quasi senza speranza. E io cedo.
«Non sono triste, ci sono abituato» puntualizzo.«Però se ti fa piacere…» dico infatti con una voce debolissima.
Mi stupisco di me stesso.
Ho azzardato.
Ho deciso in un lampo, un lampo di quel fuoco che arde nel camino.  
Non voglio stare solo, è il mio compleanno, e pure la vigilia di  Natale… Scaccio l’inquietudine che mi scatena la sua presenza, anzi quasi ringrazio il guasto, la pioggia.
Poi di lui mi fido, non so perché.
Sembra più grande di me, più sicuro. Ha  mani nodose e forti. Scuote la padella, mi sorride.
Mi ringrazia. Io mi fido, e lui magari tra poco mi strozza.
«Allora? Le castagne sono pronte, dove le mettiamo?» mi chiede, interrogandomi con gli occhi; io rimango a mia volta  a guardarlo. Muto.
Sarei pronto come quelle castagne, cotto, arrostito, se tutto questo non fosse assolutamente assurdo e fuori luogo.
Un estraneo. Un ospite. Forse un ladro, o peggio.
«Allora?»
«Oh scusa. Ecco un panno di cotone, mettiamole qui! Poi nel cestino…»
Sono completamente fuori di testa.  
Le versa, chiudiamo il panno, le nostre mani si toccano; il caldo delle castagne passa attraverso la stoffa. Rimango lì a gustare il calore e l’odore di bruciato. Lui anche.
Mi sta bruciando il cuore.
Lunghi secondi. Ombre e luci sul muro.
Profili vicini
Tommaso si alza e si versa del vino. Prende il mio bicchiere e si siede con me davanti al fuoco.
Brindiamo.
«Buon compleanno, Guglielmo!»
«Grazie, buona vigilia di Natale…» rispondo.
Sono molto imbarazzato.
Ma è un bel compleanno. Molto bello, in fondo.
Mangiamo le castagne.
Parliamo.
Talvolta ci scopriamo a guardarci e stiamo in silenzio.
Lui mi racconta un po’ di sé.
È uno studente del quarto anno di architettura. Io gli dico che faccio il commesso a Firenze.
Ride.
«Mi sembravi un modello!» mi tira là.
È un complimento o una battuta per sottolineare il mio abbigliamento da casa, comodo e trasandato? Io arrossisco ancora.
Lui mi passa le mani sul profilo…
«Sei perfetto! Inganneresti chiunque…»
Potrei morire.
Cosa mi sta succedendo?
Parliamo sempre più vicini. Sto maledettamente bene al suono della sua voce.
Passano le ore.
Stiamo sdraiati davanti al fuoco e piano piano i nostri occhi si chiudono. Si chiudono insieme alle nostre mani.
Al mattino mi sveglio.
Solo.
Lui sparito.
Esco fuori.
Nessuna macchina.
Mi sembra di aver sognato, eppure era  tutto così reale.
Tommaso era vero, respirava, era alto quanto la porta; impossibile sbagliarsi; confondersi.
È il giorno di Natale. Vado a pranzo da mia madre. Soliti sorrisi, e discorsetti. “Ti trovi bene?” “Senti la nostra mancanza?” “Hai bisogno di qualcosa?”
E certo che avrei bisogno di qualcosa! Di un amore. Un angelo biondo e maligno che mi piombi in casa la notte e mi baci.
Torno alla cascina. Penso a lui tutto il tempo mentre percorro la solita strada. Guardo dietro ogni curva, magari lo vedo. Forse era un fantasma. Me ne convinco. Sono triste. Ho fantasticato.
Che credevo?
Un bel ragazzo, sconosciuto, la notte della vigilia  bussa alla mia porta, io apro e come regalo di Natale  trovo la risposta ai miei turbamenti.
Illuso.
Mi si stringe il cuore.
Potevo chiedere il suo numero di cellulare…
Ma che dico!? Un fantasma non ha cellulare! Anche lui, però, sparire così.
Un maleducato, in fondo.
Passano due giorni in cui cerco di dimenticare. Dormo e basta.
Torno al lavoro.
Le foglie vorticano nel mio piazzale insieme ai  passerotti.
È quasi la fine dell’anno. Comincia a nevicare. Quando rientro a casa accendo il fuoco.
Rimetto le castagne sulla brace.
Ricordo la sera del mio compleanno.  
Lui.
Mai più  rivisto.
Quasi non ci penso più. Poi istintivamente vado alla finestra, lo cerco fuori tra i fiocchi. Nessuna macchina, nessuna impronta. Forse era davvero un desiderio, un fantasma partorito dalla mia testa.
Appena le castagne sono pronte, sposto il panno di cotone dal cestino, e trovo un biglietto ripiegato.
Un biglietto di Tommaso.
“Scusa se sono andato via senza salutarti.
Dormivi così bene; eri talmente bello e sereno, che non ho osato. Mi sono vergognato.
Volevo svegliarti e ringraziarti, ma di cosa? Ci ho pensato: di averti ingannato?
Volevo dirti che la macchina non era guasta, che ti avevo seguito. Che erano giorni che ti guardavo al lavoro, sempre di nascosto. Non ho avuto mai il coraggio di fermarti.
Scusa.
Sono venuto da te di sera come un ladro, ho carpito la tua fiducia, ti ho raccontato tutte bugie, ma desideravo conoscerti, stare un po’ con te.
Sei stato così tenero e fiducioso  che non ho potuto confessarti il mio inganno. Inoltre  eri così solo… ho avuto paura di spaventarti. Perdonami.
Sparisco così come sono venuto.
Ma se vuoi, se non sei del tutto allibito per il mio comportamento sfacciato, telefonami.
34970…325.
Dimenticavo: il telefono funzionava, tutto funzionava, tranne la mia testa.
Tommaso.”
Rimango lì a guardare il biglietto. Lo giro e rigiro tra le mani.
Poi ci penso: è tutto così chiaro in me, ora. Mi batte il cuore. E non per un’illusione.
Prendo il cellulare, compongo  il numero.
Squilla.
Squilla.
Squilla.
Ti prego rispondimi!

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