lunedì 19 dicembre 2011

IL MIO NATALE: NATALE di MANUELA PETTI


Ultima settimana per IL MIO NATALE.
L'antologia di racconti che si chiuderà la notte del 24 dicembre.
L'idea che ho lanciato nel post precedente non ha riscosso l'attenzione e l'entusiasmo che speravo, quindi, l'idea resta tale e continueremo semplicemente nell'ambito del mio piccolo blog.
Questa volta tocca a MANUELA PETTI raccontarci il suo Natale e questo è proprio il titolo del suo racconto.

Buona lettura.

NATALE
Sono stata l'ultima a mettere le luci sull'albero di natale lungo la strada. Gli alberi degli altri negozi hanno le luci colorate, il mio è l'unico che le ha bianche. Lo sapevo che non sarei riuscita a fare tutto nei tempi richiesti e lo sapevo che avrei sbagliato qualcosa.
Stasera la gente è dovunque, satura la strada di rumori, si ferma nei bar, beve vino da ampi calici come è stato stabilito che deve essere bevuto. Onestamente non mi so spiegare così tante persone che improvvisamente decidono di attraversare questo paese senza nemmeno sapere cosa cercano.
Il silenzio dell'ora di cena è accettabile. Mi rilasso a casa dove posso godere di spazi liberi da decorazioni colorate. Plastica e luci schizofreniche lampeggiano tutte fuori di qui sollecitando il sistema nervoso. No grazie.
Il Natale è un obbligo da cui fuggirei volentieri, ti piomba addosso il mondo a chiedere soldi e se osi dire no sei nella lista dei cattivi. In quanto ai regali non ne faccio e non ne ricevo. Lavorando al negozio capisco bene come gli acquisti siano indotti dal mercato e dalla pubblicità.
Ma domani è Natale, credo, e terrò chiuso. E' il giorno in cui tutti resteranno a casa lasciandomi vivere in pace. Quello che apprezzo davvero del Natale è l'assenza quando sottolinea l'inutilità delle luci, dei gesti speciali, dei regali, dei Babbi Natali.
A casa è il silenzio e mi sento più libera. Il fuoco arde nel camino, non faccio in tempo a sistemarmi sulla poltrona che suona il campanello. Ecco, penso, ora succede il peggio, come al solito il Natale deve essere il giorno del meglio o del peggio, gesti eclatanti nell'amore, nel gioire, o nel dolore e nel morire. Sarà scappato il cane, sarà morto un parente, sarà la terza guerra mondiale. Apro rassegnata, senza nemmeno chiedere chi è. Piove. La vicina di casa mi saluta e mi porge una busta di mele, sono del suo giardino, ne ha tante. La ringrazio, faccio per chiudere la porta, poi ci ripenso, le porgo il braccio per accompagnarla al portone di casa: è anziana, non vorrei che inciampasse perché intorno casa mia regna il buio sovrano. Le chiedo come va, lei risponde "Come al solito" lamentandosi dei dolori all'anca. Entriamo in casa, anche lei ha il caminetto acceso e la stanza è in penombra. L'aiuto a sedersi, poi mi siedo anche io. Parliamo del più e del meno, del tempo, dei figli e dei nipoti, del lavoro, della casa, della crisi, delle malattie, della vecchiaia, delle fatture del gas, dell'orto, del prete, del gatto.......E così è già tardi "Tardi per cosa?" mi chiede la vicina. Sorrido e mi rendo conto di quanto anche io sia omologata a un vivere dove il buon senso ha dato forfait.
Gli occhi sono stanchi, vado a letto, da sotto le coperte lascio che la notte mi avvolga nella sua coltre protettiva e dormo.
Stamani, Natale, mi sono svegliata piena di energia, cosa davvero insolita perché il sorgere del nuovo giorno è sempre stato per me un inevitabile impatto con l'esterno. Ho dormito di un sonno profondo, senza interruzioni, come non mi capitava da parecchio.
La giornata non è male, appena ovattata da una foschia mattutina che sfuma i contorni delle cose. Prendo una mela e la mordo, il suo sapore non ha niente a che vedere con quello delle mele del mercato, questa è piccola, il profumo già gratifica i sensi e il gusto mi ricorda l'infanzia.
La vicina di casa non è una vicina qualunque, è discreta, gentile, ha la faccia di una che ispira fiducia, le ho perfino confidato di avere scritto un romanzo. L'ha voluto leggere, "Ho letto di peggio" ha detto, niente altro, ma ha tenuto il manoscritto.
Scelgo un'altra mela e sistemo quelle che rimangono nel cestino della frutta. Sul fondo della busta è rimasta una lettera circondata da un nastro dorato. Da un lato c'è scritto a matita "Buon Natale" e dall'altro l'indirizzo del mittente, una nota casa editrice. La lettera è ancora sigillata. L'appoggio sul camino, unico regalo di Natale, inutile aprirla, il suo contenuto non ha importanza rispetto al gesto di considerazione che mi ha riservato la vecchia signora, perché è chiaro che abbia spedito il mio romanzo alla casa editrice. Ma so già che quella è una formale lettera di rifiuto, come ne ricevono gli scribacchini sconosciuti. La signora ha lasciato a me la sorpresa di aprirla... C'è qualcosa di strano in quella lettera, devo ammetterlo. La stranezza è il fatto che sia qui oggi. Le ho dato il romanzo poco più di un mese fa, come ha fatto a leggerlo, spedirlo e ricevere una risposta in così poco tempo? La apro. Il suo contenuto è una vera sorpresa, quasi uno scherzo.
La vicina mi apre la porta, vede la lettera che ho in mano e sorride contenta "Allora?" chiede.
"Allora vogliono che li contatti. Ma come ha fatto? Non leggono i manoscritti inviati dagli sconosciuti, in così poco tempo poi...".
"Non sono mica stupida. Prima ho telefonato alla redazione!" la signora mi guarda come se non sapessi come funziona il mondo. "Mi ha risposto una cara ragazza. Le ho chiesto un regalo di Natale per una povera vecchia sola..." i suoi occhi ora sono furbetti e il suo tono di voce irresistibile. Impossibile dirle di no.

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