domenica 25 dicembre 2011

IL MIO NATALE: E LA LUCE ENTRO' IN ME di CARLO DEFFENU


IL MIO NATALE giunge alla fine.
Dopo una lunga maratona durata quindici giorni arriva il momento di tagliare il traguardo.
Ringrazio tutte le persone che hanno voluto partecipare con un racconto, una lettera, un pensiero a questa piccola iniziativa nata per gioco e rivelatesi ben presto più ricca e complessa di quanto immaginassi. I vostri racconti mi hanno emozionato, tradito, sorpreso, incantato, rigenerato, divertito e motivato. Ho sempre pensato che il confronto aiuti le persone a crescere e questa raccolta di racconti è un fulgido esempio per ogni sognatore incallito. Non so cosa spinga un uomo a scrivere. Ma nella mia ignoranza credo che non esista gesto più intimo e rivolizionario di questo.
Chiudo la porta con un mio racconto scritto per l'occasione.
Diversamente dal precedente, giocato sull'ironia, qui calpesto un terreno arido e ghiacciato che mi ha portato altrove.

Buona lettura. 

E LA LUCE ENTRO' IN ME

Il mio nome è Milton Bale.
Ho 48 anni e sono un uomo cattivo.
Lo Stato mi accusa di aver ucciso mia moglie Henriette.
L’ho picchiata, è vero. L’ho fatto per ragioni stupide.
Ora che tutto è andato a farsi benedire me ne pento, ma non si può tornare indietro.
Non si può quasi mai.
Era una brava moglie la mia Henriette.
Un  po’ troppo severa e lunatica forse, ma nessuno sapeva parlarmi con le parole giuste come faceva lei.
Ho sempre lavorato nei campi. Ho imparato tutto guardando le mani callose di mio padre.
So spaccare le pietre e intagliare la legna.
Alla mia Henriette ho regalato un cavallo fatto con le mie mani; ricordo il suo sorriso felice quando le ho detto «Questo è per te.»
Quel cavallo lo ha messo sulla mensola del camino e per anni lo abbiamo guardato nei lunghi inverni con la neve alta fuori dalla porta.
So trattare la legna…ma so anche sentire il vento, curare gli animali e seguire le stagioni.
Le mie stesse figlie hanno pianto per il mio misero destino.
Dicono che ho ucciso Henriette con la mia ascia da lavoro.
E questo mi fa male.
È vero, la picchiavo, lo facevo perché a volte il nervoso mi saliva alle mani e non sapevo come fare per calmarmi e lei, con la sua pazienza, mi faceva arrabbiare ancora di più.
Ma volevo bene alla mia Henriette e alla fine mi pentivo.
Lei si nascondeva in un angolo della casa e io andavo a cercarla come un bambino disperato. Chiedevo perdono.
E lei…lei mi perdonava sempre.
Era una Santa la mia Henriette.
Dicono che ho fatto a pezzi la mia famiglia solo per stupida gelosia.
Ma sono tutte sporche menzogne.
Non ho mai creduto alle voci che giravano in paese.
Henriette non guardava nessuno.
La sua era solo cristiana compassione verso il prossimo suo.
Io, quella maledetta mattina, lavoravo nei campi con la testa bassa e non ho sentito nulla…nulla.
Sono state le mie figlie a trovarmi con il corpo di Henriette tra le braccia.
Il suo sangue lucente sulle mie mani sporche di terra.
Ma io non c’entravo niente. Io piangevo come loro per tutto quel silenzio assordante.
Ho gridato la mia innocenza per anni…ma la giuria non ha creduto alle mie parole.
Per lo Stato io sono un uomo cattivo.
Per le teste onorevoli di quei 12 cittadini venerabili io merito il fulmine della punizione.
E per questo motivo mi trovo qui.
Per pagare.
Per espiare le mie colpe.
Così mi ha detto Padre Mullock.
È il Natale del 1959 e sono qui.
Solo e triste.
Ho salutato i miei compagni di sventura con un sorriso muto. Percorrendo l’ultimo corridoio con gli agenti Mick e Thomas al mio fianco, ho visto l’albero di Natale costruito con le mie mani.
Ho intagliato tutti gli animali che lo addobbano con il mio coltellino speciale e li ho appesi ai rami dell’abete.
Guardando le luci accese che brillano come piccole stelle nel silenzio della prigione ho sentito una fitta dolorosa al centro del petto.
Ora sono solo e sto seduto davanti alle vostre facce impassibili.
Ci divide un vetro. Posso quasi sentire i vostri respiri.
L’agente Nolan mi blocca con le cinghie di cuoio alla sedia, mi mette il morso tra i denti e come un padre benevolo mi bagna la testa sotto la cupola elettrificata.
L’acqua conduce…conduce sempre la luce.
Ho chiesto di vedere.
Mi hanno raccontato che quando si muore ti passa davanti agli occhi tutta la vita e io non voglio perdermi questo ultimo spettacolo.
Per quanto misera sia la mia vita…è la mia.
Perdonami Henriette per le botte.
Perdonatemi figlie mie se non sono stato capace di essere un buon padre.
Io so tagliare la legna, lavorare la terra, sentire il vento… nessuno mi ha insegnato a fare il padre.
Ora vi vedo, giudici e testimoni, uno per uno vi vedo, in fila dietro il vetro, con le vostre facce giuste e sante.
Percepisco con la coda dell’occhio un gesto del direttore.
È arrivata la mia ora.
La leva viene abbassata e la luce entra in me.
Un bagliore, un dolore infinito e poi…poi arriva un mare di silenzio.
La mia vita scorre come luce e va oltre.
Posso vederla solo io la mia vita imperfetta che scorre.
A voi, perdonatemi, posso solo raccontarla.

***

Ringrazio le stelle buone.
Quelle che brillano anche quando tira vento.

ALIAS

3 commenti:

  1. Carlo, ti rinnovo i miei auguri di Buon Natale uniti ai complimenti per questo tuo bellissimo racconto, che è davvero un grande regalo per noi che ti leggiamo!

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  2. Notevole davvero, ma certi shock servono, servono a riflettere sulla nostra miseria di esseri imperfetti. Una chiusura controcorrente, che invece di chiudere apre un nuovo capitolo: Carlo ... avanti .... a te l'onere e l'onore di avviarlo.
    Buon Natale e grazie per lo spunto di riflessione.

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  3. BUON NATALE!!!!!
    tanti tanti auguri davvero :)

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