Oggi, per l'antologia di racconti IL MIO NATALE, vi propongo un racconto di ROSALIA RANIERI che mi ha colpito in modo particolare. Ho iniziato a leggerlo con qualche resistenza per una tendenza alla ripetizione che spesso trovo retorica e fastidiosa e invece, miracolosamente, il racconto si è aperto in una direzione che non mi aspettavo...sorprendendomi per la capacità visionaria e la delicatezza del tema. Brava Rosalia. Questo mi ricorda che prendere il ritmo del respiro di qualcun altro è tra le cose più difficili da fare. Nella vita e nell'arte.
Buona lettura.
NEVE CHE SI POSERA'
Cadeva la neve.
Bianca e soffice si scioglieva sotto i miei piedi. Si espandeva in una pozzanghera d’acqua fredda sotto i miei piedi.
Sì, sotto i miei piedi c’era acqua fredda.
Sotto i miei piedi c’era anche il cemento della strada.
Sotto i miei piedi c’era anche qualcosa che gli umani non sanno vedere con i loro semplici occhi.
Cadeva la neve ed io non riuscivo ad afferrarla.
Silenziosa precipitava dal cielo. Precipitava per finire sotto i miei piedi.
Io la vedevo sotto i miei piedi. Era lì, che diventava acqua fredda… dopo esser precipitata dal cielo. Chissà se lei sapeva cosa ci fosse in cielo in realtà. Chissà se sapeva perché la gente lo indicava come il contenitore del paradiso.
Cadeva la neve ed io avrei voluto piangere per non saperla più toccare.
Ma non producevano lacrime i miei occhi. Non c’erano lacrime che precipitassero insieme alla neve sotto i miei piedi. Che si confondessero con l’acqua fredda formatasi sotto i miei piedi.
I miei piedi… eppure lì vedevo, erano ancora lì.
Io ero ancora qui.
Cadeva la neve e si posava su ogni cosa.
Si posava sulle grondaie delle case. Si posava sugli ombrelli aperti della gente che passeggiava per la via. Si posava sulla carrozzeria delle automobili. Si posava sui lampioni accesi. Si posava sull’asfalto della strada, persino dov’io stavo in piedi.
Stavo in piedi sull’asfalto della strada al centro di essa.
“Aiuto! Chiamate un’ambulanza! Presto! Presto!”, era un uomo ad urlare.
Era appena stato l’artefice di un incidente d’auto con un motorino. Il motorino era finito sotto la sua automobile sulla quale ora si posava la neve. Si posava anche su di lui, mentre correva da una parte all’altra in cerca di soccorso. Molta gente fiancheggiava il punto dell’impatto. Molta gente cercava di aiutarlo. Su tutti loro la neve si posava.
Anch’io mi avvicinai.
Cadeva la neve anche sopra una pozza oleosa e su un’altra di colore rosso: entrambe si espandevano da sotto il motorino. Mi accorsi che la pozza era cambiata anche sotto i miei piedi.
Sotto i miei piedi non c’era più acqua fredda… ma olio e sangue.
Il suono dell’ambulanza infranse il silenzio magico creato dal precipitare della neve. Ma ormai era tardi. Lo si vedeva negli occhi della gente. Lo si vedeva negli occhi disperati e colpevoli dell’uomo. Io lo sapevo bene quanto i loro occhi avessero ragione.
Ma quell’uomo non avrebbe dovuto sentirsi colpevole. Poverino, che cosa avrebbe potuto fare? Non lo aveva visto arrivare. Il motorino gli era finito sotto le ruote così velocemente che anche prevedendolo qualche attimo prima, non avrebbe fatto in tempo a frenare su quel freddo e scivoloso asfalto. Sperai che la neve ricoprisse i suoi sensi di colpa.
Arrivarono anche i carabinieri per i loro consueti rilevamenti. Anche sui loro berretti la neve trovava alloggio e sembrava starci piuttosto comoda. Pochi istanti e furono lì pure i pompieri. Non c’era fuoco da spegnere, ma soltanto neve per loro, persino sulle loro pompe. Non c’era nessuno da salvare, ma soltanto un motorino per loro, da tirare da sotto l’automobile del signore che ora piangeva per quell’incidente infausto. Lo invidiai. Lui sapeva piangere ancora.
Cadeva la neve su ogni cosa, tranne che su di me.
Mi passava attraverso. Non la sentivo sotto i miei piedi. Non sentivo l’acqua fredda sotto i miei piedi né l’asfalto scivoloso. E non sentivo l’olio né il sangue sotto i miei piedi.
Non sentivo freddo, né caldo.
Non sentivo nulla, eppure avrei voluto piangere. Giusto per fare qualcosa. Ma non potevo più ormai.
Vedevo ogni cosa che mi circondasse, ma non potevo afferrarla. Era una sensazione davvero spiacevole, assomigliava al senso d’impotenza.
Vedevo la neve cadere ancora come vedevo il mio corpo che veniva riposto ora su di una barella. Il mio volto che veniva nascosto alla vista dei presenti. Chissà se la gente ci credeva davvero che il nostro corpo fosse solo un contenitore. Perché io ero ancora lì. Non potevo fare nulla senza il mio corpo, ma ero ancora lì.
Perché ero ancora lì?
L’ambulanza si portò via il mio corpo e per un attimo temetti che fossi costretta a seguirlo. Che una forza invisibile mi avrebbe sollevata da terra e trascinata con esso dovunque andasse. Invece rimasi, lì, ferma, con la neve che mi attraversava e si depositava sotto i miei piedi che non l’avvertivano. E adesso?
“E adesso, vieni con me”, mi sentii dire.
Mi voltai e alla mia destra c’era una figura un po’ trasparente, non ben definita, alta poco più di me, e sembrava porgermi una mano fatta di vapore.
“Seguimi”, disse ma non vidi la sua bocca muoversi.
Si voltò e prese a camminare lontano da me. Presi a seguirla soltanto perché non avevo nient’altro da fare e muovermi era l’unica cosa che mi riuscisse. Anche se osservando i miei piedi non riuscivo a comprendere come si muovessero: non pestavano l’asfalto né si libravano nell’aria. Era una specie di via di mezzo.
“Dove andiamo?”, domandai.
“A sceglierti un corpo”. Non la capii e lei mi rispose ancor prima che formulassi la domanda a voce. “Guardati intorno e scegli una donna. Puoi prenderti tutto il tempo che vuoi, in realtà tu sei senza tempo adesso. Ma se lo consideriamo dal punto di vista umano, puoi startene in questa dimensione e andare in giro per il mondo anche per quelli che loro considerano secoli. La donna che sceglierai, sarà tua madre. Ma non ricorderai nulla, come la volta precedente”.
“Mi basta sceglierla?”.
“Sì, poi l’universo troverà il modo”.
Mi sembrava tutto molto triste. Quando ero in vita e giocavo a pallavolo, capitavano le volte in cui nessuno volesse scegliermi.
“Se una donna non viene scelta in questa vita per diventare madre, verrà scelta in un’altra, come succederà a te, probabilmente”, disse.
Poi si fermò al centro di una via affollata e cominciò a svanire.
“Sì, me ne vado”, mi precedette ancora. “Adesso sai cosa fare”.
“E dove vai? Non puoi restare con me?”.
“No, ho finalmente trovato la mia donna”.
Si trasformò in un puntino luminoso bianco simile ad un batuffolo di neve. Volteggiò in aria come la neve fino a posarsi delicatamente sulla mano di una ragazza che, ignara di tutto, osservava sognatrice un lungo vestito rosso dietro una vetrina. Si sciolse nella sua mano e le penetrò dentro.
Era Natale.
Cadeva la neve.
Si scioglieva sotto i miei piedi. Chissà se i batuffoli di neve erano tanti come me in cerca di una madre.
“Vuoi sentire ancora la neve sciogliersi su di te?”, mi domandò una voce alle mie spalle. Era di un’altra figura luminescente. “Allora cerca. Io la mia l’ho appena trovata”.
E si tramutò in una goccia d’acqua che precipitò da un balcone dove una signora, parecchio avanti con l’età, vi si era riparata dalla neve.
Cadeva la neve su ogni cosa, tranne che su di me.
Ma presto sarei tornata ad avvertirla di nuovo… sotto i miei piedi.
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Vi ricordo che se volete partecipare all'iniziativa potete spedire il vostro contributo letterario al seguente indirizzo: carlosdeffe@msn.com
ALIAS
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