giovedì 26 settembre 2013

LA GALLINA DI BANDERAS


Guido Barilla: ""Noi siamo per la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca. Tutti sono liberi di fare ciò che vogliono purché non infastidiscano gli altri."

Ecco, io, a volte, mi chiedo semplicemente perché. 
Cosa spinge un imprenditore italiano importante come Guido Barilla a rilasciare una dichiarazione così ottusa, omofoba, assurda, cieca, autolesionistica?
Un limite personale? Un'impostazione aziendale? Un momento di follia?
Lo sappiamo che per Barilla il mondo è fatto di Banderas che parlano con le galline e cucinano biscotti e merendine in un Mulino Bianco immerso in un paesaggio surreale che non ha niente a che vedere con le zone industriali che vediamo nelle nostre città.
Lo sappiamo che per Barilla la mattina nessuno ha l'alito pesante, i capelli spettinati e le palle girate... che tutti hanno voglia di ridere, a nessuno scappa la pipì e tutti hanno tante cose belle da raccontarsi...
Lo sappiano che nel mondo Barilla tutti sono felici, sorridenti, senza aloni sotto le ascelle e con le mutande con l'elastico sempre perfetto che non cede di un millimetro...
Lo sappiamo e quasi ci sentiamo delle merde pensando alla puzza che esce dalle nostre bocche, alla tristezza delle nostre mutande slabbrate, al grigiore delle nostre colazioni silenziose con l'unico suono della tv che ci dice che tempo fa e cosa capiterà al nostro segno zodiacale...
Incontrerai un imprenditore che ti indicherà la via...
E certo... la via per la demenza.
E poi scappi al lavoro, gay o non gay... se sei fortunato e un lavoro ce l'hai, ovvio... e poi torni a casa, ti siedi a tavola e ti chiedi: e adesso che faccio? Mangio le penne della famiglia felice o mi rifiuto di soccombere per una semplice questione di principio?
E dove compro i Tarallucci e i Galletti?
Mi butto sulle imitazioni Eurospin?

Ma alla fine torno al mio dubbio principale: perché fare certe dichiarazioni?
"Tutti sono liberi di fare ciò che vogliono purché non infastidiscano gli altri"... cosa nasconde questa frase? Qualcuno ha importunato Mr. Barilla personalmente o come dirigente? Qualche associazione gay ha organizzato un sit-in per avere più gay negli spot della Barilla?

VOGLIAMO TIZIANO FERRO DENTRO IL MULINO BIANCO...
VLADIMIR LUXURIA SA FARE LE MERENDINE COME BANDERAS...
CI AVETE EMARGINATO E NOI SIAMO LE REGINE DELLA CASA...

Insomma... non capisco perché parlando di pasta e pubblicità si attribuisca ai gay un atteggiamento molesto e fastidioso. In fondo negli spot mancano anche i disabili, i neri e gli etero stronzi. La realtà è sempre edulcorata e falsificata. Non mi stupisco che non si rappresenti la realtà per quella che è. Che poi diciamocelo... anche la rappresentazione dei gay è sempre manipolata e funzionale al prodotto. La cosa assurda è dichiarare certe cose come l'ultimo scemotto del paese, senza calcolare l'onda mediatica di certi passi falsi. Detto questo mi chiedo: ma gli altri produttori sensibili a certe categorie di genere... hanno fatto una cazzata o sono delle volpi furbette?



Solo all'estero hanno capito che i gay sono una fetta di mercato importante che si deve coccolare e attirare con spot calibrati al millesimo per le loro esigenze?
Fa tanta tristezza sapere che siamo tutti fette di mercato... numeri e potenziali consumatori... e cosa importa a Guido Barilla cosa fa nel suo letto un mangiatore di pasta? O i gay vanno bene solo per comprare dischi di Madonna, mutande di Dolce&Gabbana e ceramiche per il bagno di Versace?
Be', da uno che crede che i Banderas parlano con le galline... non ci possiamo aspettare certo uova di saggezza. O no?
Io consiglierei di prendere le cose con la giusta ironia e sensibilità. E se vi capita di comprare un pacco di stelline della Barilla... e vi parte il senso di colpa tardivo... usatele come glitter di tendenza dopo averle colorate d'argento e oro.


Come trasformare un attore in un idiota. Ecco il mondo Barilla... che se io fossi la gallina, con uno sguardo così, mi terrei ben stretto il buco del culo.


P.S. - La Barilla bisognerebbe lasciarla perdere a prescindere... se vuoi mangiare pasta buona non compri sicuramente la Barilla. 

lunedì 23 settembre 2013

L'IMPREVEDIBILE VIAGGIO DI HAROLD FRY di RACHEL JOYCE


Questo romanzo mi aveva colpito da quando lo avevo visto per la prima volta in una libreria. 
Non so perché. Forse il titolo, forse quelle scarpe slacciate in copertina, forse quel corvo appollaiato sulla V. Non lo so proprio cosa mi attirò di lui e cosa mi stimolò il desiderio di leggerlo. 
Lo avevo preso in mano, avevo letto la trama nel risvolto di copertina, avevo guardato il prezzo... e lo avevo riposizionato sul bancone. 
Mi capita di sentirmi in colpa quando compro dei libri o quando il mio sguardo cade su una copertina inattesa. Quella volta mi capitò e non se ne fece niente. 

Ho rivisto quella copertina dopo mesi - e tanti altri libri letti - nella vetrina di una libreria che vende libri usati.
Spiccava in vetrina con un cartellino che diceva: "Solo 8 euro ed è tuo!"
Mi sono fermato incantato davanti alla vetrina illuminata e, attratto da un vecchio canto d'amore, sono entrato e l'ho comprato. 

Dopo qualche giorno ho iniziato a leggerlo e, senza saperlo, ho iniziato un viaggio lunghissimo in compagnia del protagonista.
La storia di Harold Fry, un 65enne in pensione che riceve una lettera da una vecchia collega che gli annuncia di essere malata di cancro e di non avere molto tempo, e decidendo di spedire una breve lettera di risposta salta la buca più vicina a casa e inizia a camminare verso la prossima, mi ha subito affascinato per la sua umana e assurda semplicità. Harold continua a camminare perché gli sembra brutto pulirsi la coscienza così velocemente, senza pesare il senso concreto di un gesto per lui denso e importante. E così, buca dopo buca, il tempo si allunga, le intenzioni si fortificano e la strada si moltiplica metro dopo metro, passo dopo passo. 
Inizia così il viaggio che porterà Harold a percorrere 1000 km in 87 giorni per raggiungere la Scozia e salvare Quennie, la collega con cui ha un lontano debito di riconoscenza. Cammina con le sue scarpe da vela - poco adatte per una simile impresa - e senza cellulare o vestiti adeguati. Un pellegrinaggio che lo porterà a conoscere i suoi limiti, le sue debolezze e gli farà scoprire un mondo del tutto diverso da quello che aveva sempre visto dai bordi della sua vita mediocre. 
Harold Fry non è un eroe, ma un uomo imperfetto con tanti rimpianti e tanti errori dietro le spalle. Il viaggio sarà il detonatore che lo porterà a ripensare al suo passato. A suo figlio David, alla crisi matrimoniale con sua moglie Maureen, alle cose non fatte, ai drammi dell'infanzia, alle piccole e grandi assenze di un'intera esistenza. Un pellegrinaggio spirituale che lo spinge ben oltre i limiti del possibile. 
Perché a volte bisogna alzarsi dalla sedia per cambiare davvero il mondo.

La storia è tutta qui... ma è ricca di incontri, sfumature e rivelazioni. Ho amato molto il personaggio di Maureen. Un comprimario perfetto che ci permette di capire meglio le scelte e i vuoti del protagonista. E ho amato la malinconia di fondo della narrazione... la sua deriva spietata e per niente consolatoria. Non c'è quasi mai un lieto fine nella realtà... e nella finzione può succedere lo stesso... o forse, basta un piccolo dono, a cambiare il senso di un viaggio?

Il parallelismo con Forrest Gump salta in mente dalle prime pagine. Ma in questo viaggio c'è un'amarezza che in quella storia non c'era. Harold è un Forrest invecchiato e sconfitto dai dolori della vita. Un perdente in cerca di un riscatto finale. 

Ci ho pensato molto a questa cosa... alla necessità di alzarsi dalla sedia per mettersi in gioco in prima persona... anche spinto da una speranza impossibile... e non so perché, nella mia testa è scattata un'altra connessione: il vecchietto sognatore di "Up".

venerdì 13 settembre 2013

UN POSTO ANCHE PER ME di FRANCESCO ABATE


Ho letto l'ultimo romanzo di Francesco Abate con un carico di emozioni e di aspettative forse eccessivo e fuori luogo.
In me era ancora bello vivido il ricordo del suo precedente romanzo, intitolato "Chiedo scusa", edito sempre da Einaudi; un libro che ho letto e ho fatto mio come mi capita raramente. Una storia forte, intensa, scritta con lievità e ironia... una storia che mi aveva catturato e trasportato altrove. Sono magie che scattano solo in alcuni casi e trasformano un semplice libro in qualcos'altro: una porta, un varco, una connessione, un viaggio, una caduta, una scoperta. Per me fu un incontro speciale... sicuramente uno dei libri più belli letti l'anno scorso, se non forse il più bello. 

Avrei dovuto azzerare tutto e ricominciare come se niente fosse successo, ma forse, e dico forse, tutto questo è impossibile quando ti innamori di qualcosa/qualcuno.

UN POSTO ANCHE PER ME racconta Peppino, il suo mondo, i suoi silenzi, le sue parole - parole rivolte a Marisa - le sue regole, le sue atrocità. Gira la notte per Roma con la sua merce, gira su autobus pieni o vuoti, spenti o accesi, sicuri o pericolosi. Sfiora fantasmi, incontra mostri, scappa dai suoi zombie... e ricorda il suo passato di bambino sfigato. 
Impossibile non entrare in empatia con lui. Anche quando non capisci del tutto cosa succede e cosa vede nella sua mente "lenta".
Il mondo è classificato con gli aliti delle persone che incontra.
Peppino ha un naso fino e sente tutte le puzze del mondo: nicotina, rabbia, cipolla, disperazione, menta, paura... cosa tutto non buttano fuori quelle bocche quando si aprono?
Saliamo con lui sull'autobus e viaggiamo verso un nulla che avvolge e, spesso, annienta e uccide.
Peppino è uno degli ultimi... uno di quelli che si confondono con le ombre e spesso, come le ombre, si adattano a tutti i muri.
Ma forse un riscatto c'è... passa attraverso la morte del sogno e della speranza... forse... o forse attraverso la presa di coscienza che un angolo, nell'immenso mondo, esiste anche per chi ha sempre pensato di non avere un'ombra e di non meritare la felicità.

Il preambolo di questo post vuole forse dire che il libro non mi è piaciuto o mi è piaciuto meno di CHIEDO SCUSA?
No, vuole spiegare come, per gli innamorati, è difficile dimenticare... e vuole anche spiegare come un autore ha il diritto - e il dovere - di andare oltre, superando i luoghi, i modi, i temi di un suo romanzo fortunato - e bellissimo - per andare oltre... con coraggio e onestà.



Consigliato a chi, almeno una volta nella sua vita, si è sentito una caccola senza importanza e ha temuto di essere schiacciato dagli ingranaggi del mondo.
A naso... posso azzardare... che gli esclusi saranno pochissimi.

lunedì 9 settembre 2013

LA DOPPIA VITA DEL CAMERIERE


La vita del cameriere è ricca di sorprese e di esperienze al limite dell'impossibile. 
Ieri sera, per esempio, mi sono trasformato nell'Uomo Ragno.

Scena: terrazza piena di clienti seduti ai tavoli che mangiano e altri che arrivano e ordinano dal menù ignari del pericolo che preme sulle loro teste.
Io con la mia camicia bianca appena stirata e profumata di ammorbidente.
Io con il mio grembiule nero che mi trasforma tutte le volte che lo indosso in qualcosa di diverso dal Carlo quotidiano (il fascino e il potere della divisa!).
Luci accese, musica suadente diffusa dalle casse, piatti che vanno e vengono e poi, all'improvviso, la prima goccia. La prima di molte altre a dire il vero. Grosse come gavettoni.
All'inizio cerco di minimizzare e rispondo a un cliente che mi dice: "Piove!"
"Ma che bello, così la cena è più romantica!"
Ma il mio tentativo di sminuire l'apoteosi dura giusto il tempo di una discesa - per avvisare la Capa che ha iniziato a piovere - e una salita per cercare di gestire l'emergenza.
La risposta della Capa è stata: "Prendi i teloni impermeabili e sistemali sulla tettoia di canne!"
Ecco, queste sono le cose meravigliose che danno un senso alla mia esistenza!!!

Corro in magazzino, prendo i teloni ancora confezionati, torno in terrazza e vengo travolto dall'esodo dei clienti. Su trovo soltanto una coppia reduce che aspetta il dolce - la signora si è girata una sedia sulla testa per proteggersi la messa in piega - una coppia di francesi che aspetta di capire cosa fare, e una coppia di spagnoli che non mollano i loro piatti di fregula annacquata. 
Con l'aiuto di una mia collega apro il telone, salgo su una sedia e con il suo aiuto cerco di sollevarla oltre il canneto e di farla scorrere per tutta la sua lunghezza.
La mia collega un po' si vergogna e un po' non ci arriva e nel giro di due minuti mi molla.
Per fortuna mi aiuta il cliente che aspetta il dolce - un manzo alto due metri - e con il suo aiuto - saltando come una capretta su tavoli e sedie dove i clienti hanno abbandonato piatti e bicchieri pieni di cibo e bevande - riesco a posizionare il telone e a legarlo con dei lacci di corda alla struttura del canneto. 
I pochi clienti rimasti in terrazza mi osservano ammirati mentre inciampo su piatti di linguine e bicchieri di vermentino, e la signora con la sedia in testa abbandona la sedia-cappello e inizia a riprendermi con il telefonino.
Ci scommetto la mia identità segreta che finirò su youtube nella sezione "video incredibili".
"Stia attento che cade!", mi grida una ragazza apparsa dal nulla, allibita dalla prodezza dei miei salti e dall'agilità del mio corpo tondo.
Sorrido: lei non sa con chi parla!
Finita l'operazione impossibile scopro che il telone di plastica non arriva a coprire il canneto per tutta la sua profondità: insomma, ora, sotto la tettoria, ci piove a chiazze.
Riesco a salvare tre tavoli e in qualche modo, tra una pozzanghera e l'altra, faccio mangiare 6 clienti tutti contenti di trovarsi dentro una candid-camera.
Il manzo con consorte si fanno la loro meritata dose di tiramisù e io, fradicio e con la camicia lercia e il grembiule non da meno, mi ritrovo, eroe solitario, ai bordi della sala, con le ragnatele mosce.

Tornare normale, dopo imprese del genere, non è semplice. 
L'adrenalina scorre veloce nelle vene e l'unica cosa che può salvarti è un peroncino Ichnusa. 
Ma non c'è tempo... un altro tavolo chiama... è ora di rotolare verso una nuova avventura... più veloci della luce... o quasi.

sabato 7 settembre 2013

SEMPLICE


Due ragazzi francesi che prenotano un tavolo per la cena.
Arrivano alle 21:30, si siedono in terrazza, uno dei due ordina anche per l'altro dicendo: "Per il ragazzo giovane..."
"Il ragazzo giovane sarebbe lui?" chiedo, indicando il suo amico.
"Sì, lui" mi risponde sorridendo.
"Ma anche tu sei giovane", aggiungo.
"Embè... no, non così giovane..." risponde lui, ridendo.
Io lo guardo e penso che sia giovanissimo e decisamente affascinante con i suoi capelli ricci, i suoi occhi verdi, la sua barbetta appena accennata e il suo gran sorriso. 
Avrà 30 anni... forse 35, e si sforza di parlare italiano per ordinare tutto quello che vorrebbero mangiare.
L'altro, a guardarlo bene, ne avrà non più di 25 e si rivolge al suo amico in francese. 
Finito l'ordine, porto le bibite e il pane e riprendo il mio servizio con i clienti successivi.
Mi capita di vedere la scena quando passo davanti al loro tavolo con una comanda appena compilata e per un secondo incrocio lo sguardo del ragazzo più grande.
Passo oltre e osservo gli altri clienti.
Nessuno fa strani gesti, smorfie, risatine o commenti.
Mi giro verso la sala e butto un'altra occhiata.
I due ragazzi si tengono per mano e si parlano guardandosi negli occhi.
Li disturbo solo quando porto gli antipasti a tavola... loro sciolgono la stretta delle dita, mi sorridono e iniziano a mangiare.

Quelle mani si sono cercate ancora per tutta la cena... senza paura e vergogna. Semplicemente... come se l'amore fosse la cosa più normale e meravigliosa del mondo. 

Solo alla fine della battuta mi sono reso conto che in tutta la serata solo quei due giovani uomini innamorati si erano toccati con tanta dolcezza. 
Ho guardato la mia collega e le ho detto: "Hai visto come si stringono la mano?" 
Lei a sorriso e mi ha risposto: "Si amano... semplice!"

Già. Semplice. Più semplice di quanto potrebbero pensare molte persone ottuse. Amore. Solo e unicamente amore.

mercoledì 4 settembre 2013

LA FORMA DELLE PAROLE


Ci sono cose che non puoi dire.
Cose che pensi.
Cose che ti sfiorano e poi scivolano altrove.
Si parla... si sputano parole... ma quanto davvero ascoltiamo di quelle onde sonore che arrivano nei nostri timpani?
Tutti compressi in una percezione totalizzante di NOI stessi.
Il mondo è altro... spesso imperfetto e impuro...
Noi siamo giusti, santi e puliti.
Noi non pensiamo mai male... noi sentiamo tutto e capiamo tutto.

Nella realtà, le orecchie, sono organi inutili.
Estremità sacrificabili.
Perché noi sentiamo solo un lontano riverbero di quello che ci viene detto... e la memoria... la memoria, frullata da mille tentazioni, inciampa su verità fasulle. 

Fermarsi con gli occhi e guardare in profondità chi abbiamo davanti... anche quel ragazzo che passa, beve un sorso d'acqua da una bottiglietta, ti sorride e ti dice ciao... così, senza un motivo... e tu senti che un rivolo di salvezza, da qualche parte, scorre ancora.

martedì 3 settembre 2013

CHIUSO


Io vorrei non chiudermi a riccio.
Vorrei.
Ma proprio non ci riesco.
Quando mi sento vittima di un'ingiustizia, di un sopruso, di una vigliaccata, di un piccolo o grande tradimento... quando a ferirmi è una persona cara, un amico, un collega... qualcuno con cui passo molto tempo e con cui condivido sorrisi e sudore... ecco, io, semplicemente mi chiudo dentro la mia corazza.
Non riesco neanche a parlarne.
Quando sento puzza di bugie e scuse tiepide per nascondere una malafede di fondo... io mi chiudo.
Quando percepisco il desiderio di scalzarmi dal mio ruolo... io mi chiudo.
Perché non ho mai sgomitato per arrivare primo.
Mai.

E mai lo farò.