mercoledì 30 aprile 2014

ME LO DICEVA SEMPRE QUALCUNO

Me lo diceva sempre mia madre di studiare e di diventare dottore o avvocato, che la prostatite, le verruche e la cirrosi non passeranno mai di moda, e così neanche i cornuti, i ladri e gli assassini; e invece io, indolente, studiavo poco e mi perdevo dietro i miei sogni inconcludenti. Ora porto piatti pieni ai tavoli e li riprendo vuoti: sono un tecnico dello svuotamento e dello smaltimento dei residui organici.
Me lo diceva sempre mia madre di iscrivermi al conservatorio per studiare pianoforte e invece io volevo fare danza classica ispirato dalle spaccate al volo di Heather Parisi. Ci ha pensato mio padre a gambizzarmi dicendomi che un uomo con la calzamaglia può diventare solo frocio e allora io, preoccupatissimo, mi sono iscritto a pallacanestro con esiti disastrosi. 
Me lo diceva sempre mia madre di coprirmi e di non andare in giro mezzo nudo per fare il figo... e invece io facevo come mi pareva e passavo ere geologiche a bivaccare nelle panchine di Piazza Castello. Momenti storici che mi hanno lasciato solo dolori e reumatismi a ricordarmi la beata gioventù passata. 
Me lo diceva mia madre di non perdere tempo e invece io riuscivo a perdere tempo come poche persone nell'universo. Diventerei un campione olimpionico della PERDITA DI TEMPO se esistesse la disciplina. Alzerei la medaglia d'oro e salirei sul podio più alto, poco ma sicuro. Mi ci sono allenato in anni e anni di cazzeggio senza senso e rivendico una certa esperienza. Per questo, quando mi fermo a pensarci e mi guardo indietro, mi chiedo sempre come sia possibile che abbia superato i 40 anni e mi senta ancora un ventenne con i reumatismi. Povero illuso!
Me lo diceva sempre la mia prof. di biologia del Pellegrini che all'università...IO..avrei fatto il botto. In realtà - lei per fortuna è morta e non lo saprà mai - ho solo pisciato fuori dal cesso. Una costellazione di goccioline arancioni che denunciavano un abuso di alcol e di schifezze varie. 
Me lo diceva sempre mia nonna che sarei diventato un attore famoso e che Mike Bongiorno mi avrebbe invitato a TeleMike, e io spedii davvero delle foto auto-scattate - foto orribili - a un'agenzia cinematografica e dopo qualche mese mi risposero pure e mi dissero che ero perfetto per una serie poliziesca. Risi così tanto all'idea di diventare il nuovo Starsky o il nuovo Hutch che lasciai perdere tutto. Il costo del book fotografico che avrei dovuto realizzare a Calangianus - giuro... Calangianus - era così alto che rinunciai alla mia carriera televisiva e al mio invito a TeleMike. Mia nonna non me l'ha mai perdonata e mi ci sono messo anche io che non le ho ancora portato manco mezzo nipotino in casa dopo anni e anni di inutile spargimento di seme.
Me lo diceva sempre il mio prof. di italiano che scrivevo bene ma che dovevo domare il mio talento, e dopo anni ho pubblicato un romanzo che non si è filato nessuno e cadrà nell'oblio delle occasioni perdute. Attendo la telefonata di Guanda o Einaudi per il prossimo libro, ma sono sicuro che quando mi chiameranno troveranno il telefono occupato da qualche centralino vodafone o teletu.
Me lo diceva sempre la mia testa che sono nato storto... e c'ha aveva un sacco di ragione quella maledetta che pensava solo ai cazzi suoi!

Pare che la colpa sia tutta del forcipe che mi ha tirato fuori dalla pancia di mia madre. Il metallo deve aver toccato qualche zona del cervello particolare e... sboom... il destino è segnato. Sembri normale... SEMBRI... in realtà sei solo un malato - o un cerebroleso - ben camuffato. 

giovedì 17 aprile 2014

UN GAY MORTO: L'UNICO CHE NON ROMPE MAI LE PALLE!


Si chiama Eric James Borges, ha 19 anni e si è tolto la vita mercoledì nella casa che condivideva con un amico in California. Aveva raccontato di aver subito atti di bullismo e violenze piscologiche e fisiche anche da parte della famiglia. Diventato attivista del Trevor Project, il suo compito era aiutare adolescenti gay

Il mese scorso aveva raccontato la sua storia a “It Gets Better”, un progetto in Rete che raccoglie le testimonianze di giovani omosessuali. Davanti a una telecamera aveva detto di essere stato "tormentato, fisicamente e psicologicamente, per anni". Aveva chiesto ai giovani gay di "non mollare mai".
Ma a mollare è stato lui. Eric James Borges, 19 anni, si è ucciso nella casa di Visalia, California, che divideva con un amico. La notizia è stata data dal gruppo Trevor Project, per cui Eric lavorava. Il suo compito era aiutare altri adolescenti gay. Evitare che, esasperati dagli abusi, si togliessero la vita.
Nelle ore successive all’annuncio, c’è incredulità, oltre che dolore, in molti gay e lesbiche americani, Il video era stato visto da tanti in rete e il ragazzo era diventato l’immagine della possibilità per i giovani omosessuali di superare bullismo, discriminazione, paura. La storia di Eric, un giovane bruno e magro, con un filo di barba sul mento, sembrava davvero incarnare la possibilità che le cose potessero “andar meglio”. Oltre al lavoro con Trevor Project, Eric aspirava a un futuro da filmaker. Un suo video di 4 minuti, "Invisible Creatures", mostra coppie di tutte le età e orientamenti sessuali mentre si baciano e scambiano tenerezze. Il messaggio, aveva spiegato il giovane regista, era che “l’amore è universale”.
Eric aveva fatto coming out un anno fa. Da sempre, sin dall’asilo, era stato oggetto di abusi sistematici. “Mi molestavano, mi sputavano addosso, mi escludevano, mi assalivano fisicamente. Il mio nome non era Eric, ma frocio”, racconta nel video. Al momento di entrare alle superiori, il ragazzo aveva sviluppato una forma di emicrania cronica. L’escalation della violenza nei suoi confronti (“un giorno mi assalirono in una classe piena di ragazzi. L’insegnante era presente”) lo portò ad abbandonare la scuola e a diplomarsi privatamente.
Il contesto familiare, conservatore e cristiano, non lo ha mai aiutato. “I miei genitori mi dicevano che ero disgustoso, perverso, innaturale e condannato all’inferno. Mia madre mi sottopose a un esorcismo nel tentativo di curarmi”. Disprezzo di sé, disperazione, suicidio diventarono pensieri abituali: “Mi avevano insegnato che la mia essenza più profonda era insostenibile e inaccettabile”.
Lo scorso ottobre Eric era stato cacciato di casa. Nonostante tutto, le cose avevano cominciato a sistemarsi. L’aiuto di un professore, al college, gli aveva ridato fiducia nel mondo degli adulti. Il sostegno psicologico di “Trevor Project”, con cui poi aveva iniziato a collaborare, sembrava aver cancellato i pensieri di morte. Eric era andato a vivere da solo e, come racconta nel video, si era innamorato.
“Era normale. Non dava segni di depressione. Niente che potesse far pensare al suicidio”, dice ora James Criss, il miglior amico. Il caso di Eric richiama comunque quello di altri due adolescenti gay che, di recente, hanno deciso di togliersi la vita. A fine 2010 Tyler Clementi, uno studente di Rutgers University, virtuoso del violino, si è gettato dal George Washington Bridge dopo esser stato video ripreso dal suo compagno di stanza mentre baciava un ragazzo. E lo scorso settembre un 14enne, Jamey Rodemeyer, si è ucciso a New York per le continue angherie subite a scuole. Episodi che paiono in contrasto stridente con le conquiste più recenti della comunità omosessuale americana (gay nell’esercito, estensione dei benefici sociali ai partner gay degli impiegati federali, matrimoni omosessuali in sette stati americani) e che testimoniano che il cammino verso l’accettazione, soprattutto per i più giovani e deboli, è ancora lungo e incerto. Ha lasciato detto, Eric, in “It Gets Better”: “Vi innamorerete e sarete amati e io vi amo. Avete un’intera vita, che brucia di opportunità, davanti a voi. Non mollate mai e non pensate nemmeno per un secondo che non rappresentate un contributo meraviglioso e pieno di senso a questo mondo. Le cose andranno meglio”.

Articolo di Roberto Festa da "Il fatto quotidiano".



Ogni volta che leggo una notizia del genere, si muove in me un sentimento che va dall'incredulità, all'impotenza, alla rabbia. 
Inutile dire quanto sia assurdo uccidersi per quello che si è... semplicemente per quello che si è... o si ama, o si pensa, o si vive.
Inutile dire quanta gente pessima abiti questo mondo.
Mentre non è mai inutile ricordare le responsabilità gravissime di chi può cambiare le cose e non lo fa per convenienza e sudditanza culturale e religiosa.
Elenco lungo... ma certe facce le conosciamo bene.
Le vediamo sempre in TV che si riempiono la bocca di paroloni vuoti di senso e non muovono il culo per una causa che sia una.
"Fatti li cazzi tuoi..."
Razzi... profeta in patria.

E poi c'è chi se la cava con una multa quando va con minorenni. E torna in famiglia redento. Il grande uomo. Pronto a fare la morale agli altri... perché è sempre facile fare il frocio con il culo degli altri.



martedì 15 aprile 2014

A BOCCA CHIUSA di STEFANO BONAZZI


Ho letto questo libro perché mi è stato consigliato da un amico. 
Amo il genere thriller e sapere che si trattava di un giovane autore esordiente ha stimolato ulteriormente la mia curiosità. 
La copertina mi ha fatto pensare subito al caldo afoso dell'estate - il campo di grano o le sterpaglie che si vedono nell'immagine - e la vanga a qualche corpo - o segreto inconfessabile - nascosto sotto un metro di terra arida e secca. 
La promessa è stata mantenuta solo in parte. Il libro non è un thriller nel senso stretto del termine - anzi, la componente thriller è davvero irrilevante - ma il caldo asfissiante c'è e ci sono anche i corpi e i segreti inconfessabili. 
I corpi non sono morti, ma si muovono come automi dentro una scenografia claustrofobica e alienante. 
Il romanzo racconta la storia di un bambino che deve passare le vacanze a casa con il nonno perché la mamma e la nonna lavorano. Un nonno ex-camionista arrabbiato con il mondo e con la gente. La gente è tutta cattiva, inutile, falsa, interessata al denaro che ha messo da parte. La gente può inquinare la mente del nipote e trasformarlo in una nullità. La casa del nonno è silenziosa e buia. Le finestre sono sempre chiuse e la penombra regna ovunque. Il bambino passa il tempo costruendo mondi fantastici con i mattoncini Lego su un tappeto rosso che lo contiene - e lo protegge - come un utero caldo e avvolgente. L'ombra del nonno è una presenza oscura e silenziosa. Un'idea di uomo che non si riesce mai a cogliere del tutto. Le fantasie del bambino, il suo non-tempo in quella casa vuota d'amore, l'estate che scivola sorniona fuori dalle finestre, le voci e i rumori del palazzo... non si possono tradire le aspettative del nonno. 
E quando Luca, un ragazzino che abita nello stesso stabile, "rapisce" il protagonista per portarlo in un mondo di biciclette, terra e polvere, il dramma esploderà con una crudeltà assoluta. Senza dire niente alle donne di casa - che conoscono e taciono la tendenza alla violenza dell'uomo - il vecchio burbero inizierà a lasciare il bambino sotto il sole nel terrazzino della casa, e per tutto il tempo, indifferente al caldo e senza fornire acqua o cibo al bambino, penserà solo a dormire e a ignorare il mondo di fuori. Sarà ancora Luca a portare lontano da quella prigione il bambino-mattoncino e il suo gesto ribelle innescherà un meccanismo subdolo e spietato che modificherà la percezione stessa del reale da parte del piccolo protagonista. 

Il romanzo di Bonazzi è duro, crudele, cattivo e non lascia molto spazio alla speranza. Siamo tutti vittime. Siamo tutti prigionieri di un sogno, di una paura, di un ricordo... tutti ci muoviamo trascinati da fili invisibili che non riusciamo a spezzare mai del tutto. L'infanzia è un luogo di bellezza e perdizione. Una dimensione dove possono nascere le fedeltà e le ossessioni più sublimi e assolute. 
Schiavi di un click che ci imprigiona dentro una foto sovraesposta...



Ho intervistato l'autore e grazie alle sue parole capiremo meglio la natura della sua opera e della sua anima (volo troppo alto?)

Ciao, Stefano… il tuo romanzo è difficile da classificare. Si muove – direi quasi si agita – tra gli angoli oscuri di molti generi e non ne abbraccia del tutto nessuno. Se dovessi raccontare a chi non ti ha ancora letto la natura, intima e profonda, del tuo romanzo, cosa diresti?
Ciao Carlo, grazie per la possibilità di prender parte al tuo blog letterario. Se dovessi spiegare A bocca chiusa in poche frasi lo definirei come un trip allucinogeno e claustrofobico sulla desolazione dell'individuo moderno. Una sorta di “Trainspotting” visto con gli occhi di un bambino.

L’idea del romanzo da dove nasce?
Dalla volontà di raccontare un disagio. Inizialmente non avevo ben chiaro tutto lo svolgimento narrativo. Sono partito piantando un seme nero, poi l'ho annaffiato e coltivato pagina dopo pagina, notte dopo notte, in modo che potesse diventare un immenso e intricato groviglio di rami.
Volevo una storia che potesse prendere a pugni il lettore, che lo lasciasse con un sapore amaro al termine di ogni capitolo.
Mi piacciono i libri che in qualche modo cercano di destabilizzare e mettere alla prova, che non lo assecondano comodamente nella lettura e che una volta raggiunta l'ultima pagina possano lasciare qualcosa, un retrogusto amaro. Spero con A bocca chiusa, di aver lasciato un mio piccolo tributo a questo genere letterario.

Leggendolo viene spontaneo chiedersi quanto ci sia di autobiografico nella storia. Ci hai messo un po’ di te e del tuo mondo o si tratta di pura finzione narrativa?
Preferisco lasciare al lettore il beneficio del dubbio. Autobiografico o no, ai fini della lettura questo aspetto non ha molta importanza. Penso che un libro vada valutato per quello che è, non per l'empatia che può suscitare o meno il suo autore.

La copertina del libro è ingannevole e fa pensare a una storia di tutt’altro genere. Hai fatto i conti con la percezione falsata che si ha del tuo libro?
In effetti questo libro potrebbe trarre in inganno o deludere chi lo compra pensando di trovarsi di fronte ad un thriller tradizionale. So che potrei perdere una parte di potenziali lettori affermando questo, ma la realtà dei fatti è che A bocca chiusa nasce e si conclude come un dramma, la componente thriller è davvero minima.

Nel romanzo hanno un ruolo importante i mattoncini Lego. Gli omini con la faccia gialla e il sorriso eterno. Le mani a forma di C. Ricordando la mia infanzia, tutta la prima parte della storia, mi ha fatto rivivere emozioni sottili e difficili da decodificare. Anche io vivevo con i nonni e anche io passavo le ore inventandomi un mondo colorato che potevo disfare e ricreare a mio piacimento. Ho sempre pensato che quel gioco innocente sia stato il mio primo tentativo di creare storie. Anche tu sei stato un Lego-dipendente? 
Assolutamente si. Avevo davvero una cesta di mattoncini enorme in cui potermici tuffare e trascorrere le giornate. I Lego erano una manna di salvezza per i bambini dotati di una vena creativa. Non voglio passare per il solito nostalgico brontolone ma le potenzialità di quel gioco erano davvero infinite. Oggi vedo ragazzini di quattro anni controllare un iPad con la stessa abilità con cui noi costruivamo palazzi, città, automobili... beh che dire, un po' mi spaventa ma in realtà penso si tratti di un processo d'evoluzione normale ed inarrestabile. Mi auguro solo che possano trovare in esso le stesse emozioni che provavamo noi maneggiando quei mattoncini colorati.

Ho avuto l’impressione, arrivato alla fine, che ti sia censurato o frenato per rendere la storia più “buona” e meno “urticante” e “indigeribile”. Potevi andare giù molto più pesante e raccontare i fili della trama con un distaccato cinismo che sarebbe stato perfetto nel climax della storia. È una scelta di stile o, come dire, una smussatura arrivata in seguito per esigenze editoriali?
Nessuna direttiva editoriale. È stata una mia precisa scelta. Ti confesso che la fiaba che il protagonista inizia a raccontare nella seconda parte del romanzo è stata completamente riscritta rispetto alla prima versione, ma per scelta mia non per imposizioni editoriali. Stava diventando davvero difficile gestire tutto quel magma nero, lo ammetto, avevo bisogno di emergere, almeno alla fine, forse, essendo il mio primo romanzo, non mi sentivo ancora del tutto pronto.

Il protagonista è attratto dalla bellezza maschile. Ammira la fisicità prorompente del suo amico Luca e anche da adulto, osserva con compiacimento la bellezza di un ragazzino che spia dalla finestra dell’ufficio. In più passaggi si avverte una tensione gay che non si esplicita mai del tutto… piccoli accenni che lasciano intuire piccole sfumature del personaggio. Una scena – quella cardine intorno alla quale ruota il prima e il dopo – è un esempio perfetto della confusione che può regnare nella mente di un ragazzino tra dedizione e paura. Sono io che sono tremendamente malizioso o c’è anche questa componente nel romanzo?
Certo che c'è. Penso che in generale, in ogni situazione di allontanamento dalla realtà “normale” (sempre che questa parola abbia ancora un senso nel nostro contemporaneo...) ci sia un mescolamento di personalità e pulsioni che porta inevitabilmente a confondere anche le proprie attrazioni sessuali. Il protagonista frequenta prostitute, ma nulla toglie che questo non sia che un ulteriore escamotage per “convincersi” della propria normalità, per cercare di accettarsi, oppure anche un modo per prendere contatto con una figura femminile così assente nella propria infanzia... Le chiavi di lettura possono essere molteplici ed anche in questo caso preferisco sia il lettore, in base alla sua sensibilità, ad ricavarne le proprie conclusioni. Io lancio solo degli stimoli.

Il male si nasconde dentro le mura di casa e chi ha occhi non vede e chi ha voce non parla. Siamo davvero così soli e invisibili?
In certi contesti “borderline” situazioni del genere penso siano all'ordine del giorno. Basta fare due passi per qualche metropoli il 15 di Agosto.

Quanto curi i personaggi di contorno?
In questo caso pochissimo. In verità tutti i personaggi di questo libro non sono molto caratterizzati. Alcuni lettori li hanno definiti grotteschi e questo mi rende felice perché era il mio intento principale. Volevo imbastire una sorta di teatrino dell'estremo e per far ciò mi erano sufficienti dei semplici accenni ai dettagli secondari dei protagonisti. Volevo che un po' tutti i personaggi apparissero come marionette in balia di una realtà che agisce per loro. Non sarà sempre così. Nella storia che sto scrivendo adesso ci sono molte più sfumature a definire i caratteri, ma in questo romanzo mi sembrava necessario tracciare solo degli schizzi: è una storia prettamente visiva  in cui, nonostante un'estrema staticità di fondo, penso siano le pulsioni e le azioni a dominarla rispetto al volere diretto dei personaggi.

Scrivere è?
Terapeutico.

Tre libri letti nel 2013 che consiglieresti a chi ti legge?
Stefan Merrill Block - La tempesta alla porta
Mazzantini Margaret - Splendore
Sébastien Marnier - Mimì

Quali sono i libri che ti hanno cambiato la vita?
La Strada - Cormac Mc Carty
La montagna incantata - Thomas Mann
Vi perdono - Del Fabbro Angela
Io non sono esterno - Giuseppe Merico
Notti bianche - Fëdor Dostoevskij

Un personaggio dei fumetti che vorresti come amico?
Il Joker

Feticismi tecnologici?
Tutto quello che sforna quella dannata mela morsicata.

Un gesto politico importante?
Vorrei un governo con i gatti al potere. Di razza Maine Coon, preferibilmente.

Biografia in una playlist?
Soap&Skin - the sun
Tricky – Ttattoo
Aaron Parks – Afterglow
Marilyn Manson - Sweet Dreams
Agnes Obel -  The Curse
Gavin Friday - Lord I'm Coming
Julia Kent – Fall
Kidneythieves - Taxicab Messiah
Nils Frahm – Hammers
The Fauns – 4am
The Flaming Lips - Try to Explain
Wallis Bird - Dress My Skin And Become What I'm Supposed To
Xiu Xiu - Stupid in the Dark
Puscifer - Momma Sed
bastano?

 La frase scusa preferita?
Il mal di stomaco è un evergreen che funziona sempre.

A 13 anni cosa volevi fare?
L'hacker.

Hai per un giorno il potere assoluto: la prima cosa che fai?
Farei una legge che impedisse ai SUV di circolare in città.

Come spiegheresti a un bambino la parola “felicità”?
Quell'impellente desiderio di risalire su una giostra che fino a pochi minuti prima ti aveva terrorizzato.

La volta che hai riso di più?
Una mostra a Genova, alcuni anni fa. Metà Agosto, un caldo inverosimile in una saletta esposta al sole e senza aria condizionata. Durante la presentazione iniziarono ad esplodere le sedie in plastica su cui erano seduti gli spettatori. Mentre salivo sul palco a ritirare il premio mi voltai e vidi metà del pubblico con le gambe all'aria.

Una cosa che non hai mai capito della gente?
Perché ti chiedono sempre “Come stai?” se poi in realtà non gliene frega un cazzo di come ti senti davvero. (se non si possono dire le parolacce nel tuo blog, censuralo pure).

Icone moderne?
Carmelo Bene, Alessandro Bergonzoni, Marilyn Manson (non necessariamente in questo ordine).

Chi inviteresti alla cena dei tuoi sogni?
Philip Roth, David Lynch e Terry Richardson (non necessariamente in questo ordine).

Sei anche un bravissimo fotografo. Mi viene spontaneo chiederti se quando pensi alle scene di un romanzo, riesci a visualizzarle anche da un punto di vista strettamente fotografico.
Si, funziona sempre così. In molti hanno definito la mia, una scrittura “per immagini”, io stesso cerco ancor prima di buttar giù parole di visualizzarmi il set nella mente. Avere la scenografia ben chiara davanti agli occhi mi aiuta a sviluppare meglio al situazione. Prediligo poche ambientazioni, preferibilmente ristrette e claustrofobiche.

A chi diresti grazie?
A tutti quelli che mi hanno permesso di non restare a bocca chiusa.

Se alzi gli occhi e guardi il cielo…cosa vedi?
Una tela bianca, infinita.

mercoledì 9 aprile 2014

I FRATELLI RICO di GEORGES SIMENON


Io amo Simenon. Ma di Simenon amo in modo particolare i romanzi "seri", ovvero quelli senza il commissario Maigret. E tra tutti questi romanzi, amo in modo ancora più particolare, quelli che Simenon ha ambientato - e scritto - negli Stati Uniti d'America. 
Ricordo "Tre camere a Manhattan" e "Le luci della notte". Due romanzi che, se non li avete ancora letti, DOVETE ASSOLUTAMENTE recuperare e sbranare come ho fatto io!
"I fratelli Rico" appartiene a questa stirpe "americana". 
Fu scritto infatti nel luglio del 1952 - la proverbiale velocità di Simenon che fa invidia a molti scrittori - a Lakeville, nel Connecticut.  
Racconta la storia di tre fratelli: Eddie, Gino e il piccolo di casa, Tony, e della loro vita a Brooklyn fatta di soldi facili, malavita e regole da rispettare. 
Eddie, il più grande, conosciuto da tutti come "il ragioniere" - per la sua grande capacità di prevedere i guadagni e le prospettive economiche di qualsiasi affare - si è trasferito in Florida dove vive con la moglie e le tre figlie. Nel suo regno è un piccolo Boss che può fare e disfare a suo piacimento, senza mai sporcarsi le mani. Ci sa fare Eddie; è l'unico della famiglia che vanti una fedina penale pulita. La sua fede incrollabile per le regole - da seguire sempre e comunque per mettere in primo piano il valore dell'Organizzazione - lo ha portato molto lontano dalle strade e dalla povertà di un quartiere dove ha visto morire il padre, crivellato dalle pallottole destinate alla schiena di un malvivente di nome Sid Kubik - l'uomo verrà salvato dalla stessa madre di Eddie, grazie a una botola nascosta nel loro piccolo negozio di frutta e verdura - e dove ha organizzato i primi traffici e le prime scommesse con le corse di cavalli.
Gino, il figlio di mezzo, è un killer che adora ammazzare la gente e lo fa dannatamente bene. Tony, il più piccolo, si è sempre limitato a guidare le macchine usate dal clan per organizzare rapine e omicidi.
Il delicato equilibro della famiglia Rico s'incrina quando Eddie viene convocato a Miami da Sid Kubik, e scopre che Tony, confidandosi con la sua giovane sposa, ha messo in pericolo l'organizzazione. Lui sa molte cose che la polizia non deve scoprire e le sue rivelazioni potrebbero mettere in ginocchio i boss che fino ad allora sono sempre riusciti a farla franca. 
Sid chiede a Eddie di cercare suo fratello - sparito nel nulla con la moglie - e scoprire se ha davvero intenzioni di vendersi alla polizia per amore di una donna o se, per coprire le spalle all'organizzazione, è disposto a emigrare in Europa - in Sicilia semmai - e far perdere le sue tracce per ricominciare una nuova vita altrove.
Il romanzo racconta il pellegrinaggio di Eddie, tra fantasmi del passato e paure mai sopite, per rintracciare il fratello che non vede ormai da due anni. Si reca dal padre di Nora, la ragazza che ha sposato Tony, e si spinge fino a New York per parlare con l'anziana madre. E di scena in scena, di tappa in tappa, di scoperta in scoperta, riesci a vedere il mondo con gli occhi stralunati e confusi di Eddie. C'è sempre qualcuno che comanda sopra di te... e se anche tu ti credi uno squalo nel tuo piccolo mare, c'è sempre un pesce più grosso di te, pronto a farti la festa appena superi il limite della barriera corallina.
Simenon, con la sua solita maestria, riesce a costruire una storia semplice, basica, avvolgendola su se stessa in un intricato intreccio di fili e connessioni. I personaggi sono definiti con abili colpi di coltello e i dialoghi, mai fuori sincrono, mai stupidi, mai banali, sono come bisturi taglienti che sezionano un cadavere inerte.
Una storia che non conosce redenzione e perdono. 
Una storia nerissima che ti fa fare pace con la buona scrittura.

domenica 6 aprile 2014

MURI INVISIBILI

Questo pomeriggio sono uscito di casa per portare la mia scheda anagrafica aggiornata in ristorante per la prossima assunzione. 
Sole. Moltissimo sole. Gente. Moltissima gente. 
I viali di Alghero sono letteralmente invasi di persone che come tante formichine si muovono su e giù senza una logica apparente.
Io cammino con il mio giubbotto di pelle e la mia cartella di documenti e mi dico: "Ho una meta. Devo uscire da casa, camminare, seguire un percorso preciso - con poche variabili - e consegnare a qualcuno dei fogli stampati con la mia vita lavorativa."
Tutto semplice.
Eppure mi soffermo sulle facce della gente.

Moltissimi occhiali da sole.
Molte biciclette.
Un'infinità di bambini.
Il mondo gira e si riproduce.
Camminare senza un bipede vicino con cui parlare - non ho neanche un cane sfigato per fingere un minimo di socialità - ti apre la mente in modo diverso.
Ti rendi conto che non sprechi fiato in convenevoli inutili e vai... vai per fare quello che dev'essere fatto.
Il giro è lungo e lo assecondi senza opporre resistenza.
Saluti i colleghi che cenano prima del servizio serale.
Carne e verdure al forno.
Tutto bene?
Sei dimagrito.
Il lavoro?
La terrazza?
Le terme come sono andate?
Firmi il CUD, saluti e vai via.
Altre formichine tutte intorno.
Camminano, corrono, ridono, mangiano...
Altra gente.
Un ragazzo mi chiede una sigaretta.
Rispondo che non fumo... mi dispiace.
(Dispiacere per cosa mica l'ho capito... io sono contento di non fumare.)
Lui mi guarda scazziato... come se sulla mia testa avesse appena visto due antenne verdi o uno stronzo fumante... e va oltre.
Sorrido.
E cammino.
Vado al cinema?
Prendo un caffè in un bar?
Mi siedo su una panchina?
Qualcuno mi chiama al cellulare?
No... nessuno.
Ok.
Cammino.

Troppa gente in giro.
Penso ai parassiti.
Troppi parassiti.

Penso ai miei amici detenuti.
Alle celle.
Al cortile dove vanno avanti e indietro con la testa china e le braccia dietro la schiena.
Alle sbarre e alle serrature elettroniche.
Ai muri alti... altissimi...
Penso alla libertà...
Un concetto che più di una volta abbiamo affrontato in classe.

Io, questo pomeriggio, potevo definirmi libero.

A volte, le definizioni, non definiscono un emerito cazzo.

venerdì 4 aprile 2014

DOCTOR SLEEP di STEPHEN KING + UN'INTERVISTA IMPOSSIBILE AL RE DEL TERRORE!

Prima di leggere il nuovo romanzo di Stephen King, ho preferito rileggere, dopo 28 anni, il suo capolavoro indiscusso "Shining, una splendida festa di morte", di cui, "Doctor Sleep" è l'attesissimo seguito, come strilla la copertina del libro pubblicato da Sperling & Kupfer.

Tornare sul luogo del delitto dopo tanti anni e ritrovare Jack, Wendy, Danny e l'Overlook Hotel, con i suoi corridoi, il bar, le sale, l'ascensore, la stanza 217, è stata una lunga immersione nel ricordo che ha risvegliato vecchi fantasmi legati a un'adolescenza tormentata e incerta.
Dopo averlo riletto capisco ancora di più il poco amore di King per il film di Kubrick, che ha tradito il testo inventandosi svolte narrative e un finale completamente diversi dall'originale. 
Lo stesso King nei ringraziamenti alla fine del libro ci tiene a precisare quanto segue. "Poi naturalmente c'era la faccenda del film di Stanley Kubrick, che per motivi a me ignoti molti ricordano come assolutamente terrorizzante. Se lo avete visto senza leggere il romanzo, vi avverto che "Doctor Sleep" è il seguito del secondo, ovvero La Vera Storia della Famiglia Torrance."

Sapere che fine abbia fatto dopo tutti questi anni il bambino di 5 anni che nel romanzo "Shining" non guida nessun triciclo per i corridoi  dell' Overlook Hotel, era una curiosità legittima che accendeva i cuori di tutti i fedeli lettori che da decenni seguono il RE nella sua folle corsa verso l'impossibile. 
Molti  di questi lettori sono rimasti profondamente delusi dalla trama pensata e congegnata da King, definendo la prova opaca e molto sotto le loro grandi - grandissime - aspettative. 
Io, dopo averlo letto il romanzo, non sono rimasto deluso e non mi sono sentito tradito. 
Superare le vette assolute di "Shining" era ovviamente impossibile per chiunque, anche per l'autore che in un periodo di alcolismo cronico si era lasciato affascinare da una storia di fantasmi, onirica e claustrofobica.
Dan è cresciuto. Fa l'infermiere. Sua madre è morta (mi è dispiaciuto parecchio non ritrovarla in questo libro; ho sempre amato il personaggio di Wendy nella carta, quanto l'ho odiato nella pellicola di Kubrick) e anche lui, come il padre, è un fedele seguace della bottiglia. Ha sempre il dono della luccicanza e grazie ai suoi poteri aiuta i vecchi di una casa di riposo a trapassare con l'aiuto di un gatto che prevede il futuro. Tutti lo chiamano Dottor Sonno e lui, dopo aver lottato contro l'alcol grazie agli Alcolisti Anonimi, cerca di ricostruirsi una vita in una piccola città del New Hampshire, dopo aver vagato per molti anni senza una meta precisa. 
Sul suo cammino incontra una bambina di nome Abra Stone che possiede come lui il dono della luccicanza, ma mille volte più potente e abbagliante del suo. 
Sarà lei a risvegliare i demoni mai del tutto sopiti del suo passato e a spingerlo, con pressanti richieste di aiuto, a intraprendere una guerra dagli esiti incerti contro il Vero Nodo, un clan di vampiri che girano per l'America con i loro camper e invece di succhiare sangue si nutrono di "vapore", ovvero dell'essenza impalpabile della luccicanza posseduta da Dan, Abra e altri umani inconsapevoli delle loro doti.
L'idea può sembrare un po' stramba e io stesso ho storto la bocca quando ho letto le prime anticipazioni sulla rete, ma addentrandomi tra le pagine, ho ammirato ancora una volta la grande capacità di King nella costruzione di trame inverosimili che si reggono da sole. 
Ci sono due scene memorabili: il risveglio di Dan in una stanza squallida con una donna strafatta di droga e l'apparizione del suo bambino con il pannolino pieno di merda (un ricordo che tormenterà Dan per molti anni) e l'omicidio del ragazzo del baseball rivisto da Abra semplicemente toccando l'immagine del ragazzo su un cartone di latte dove sono stampate le foto di bambini e adolescenti scomparsi nel nulla.
Il finale mi ha convinto meno del percorso intrapreso per arrivarci (cosa che mi è capitata spesso con KIng). Ho avuto l'impressione che la lotta con il Vero Nodo si risolvesse troppo facilmente e senza pagare un doveroso tributo di sangue. 
Chi pensavo morisse non è morto. 
Quindi, o sono sadico io, o si è addolcito King. 
Non ci sono scuse che tengano.


Ho rintracciato Stephen King nel Maine grazie a un amico in comune che insegna italiano sulle rive di Portland e gli ho fatto 10 domande.

1- Mr King, come risponde a chi crede ancora che Jack Torrance è morto congelato nel parco dell'Overlook Hotel?

Mi limito a girarmi i pollici in attesa di una nuova domanda... possibilmente più intelligente della precedente.

2 - Ha mai tentennato davanti a un'impresa così impegnativa come scrivere il seguito di Shining?

Ho superato prove molto più difficili. Adesso che pranzo e ceno senza problemi e non mi devo spaccare la schiena in una lavanderia industriale... tutto è relativo.

3 - Quale consiglio darebbe a un aspirante scrittore?

Il talento non si alimenta con il whisky. 

4 - Progetti futuri?

Qualche fantasma lo trovo sempre se cerco bene nel baule dei ricordi.

5 - Sua moglie cosa dice di lei?

Si lamenta soltanto quando mi dimentico di mangiare.

6 - Tutti scrivono nella sua famiglia... c'è mai stata rivalità tra di voi?

La stessa che può scattare in una famiglia di meccanici. Chi pulisce meglio il carburatore?

7 - Ha mai pensato di avere un guizzo di Luccicanza?

No, purtroppo. Avrei faticato meno.

8 - Come riesce a scrivere così tanto?

Ho pochi hobby.

9 - La cosa che la spaventa di più? 

I clown e i bassotti.

10 - Ma lei è davvero lei?

Crederlo non costa nulla, no?