martedì 20 dicembre 2011

IL MIO NATALE: RISVEGLIO di DEBORA DE ANGELIS


IL MIO NATALE è alle porte.
Pochi giorni e tutto finirà in un soffio.
Freddo, vento, pioggia e poca voglia di uscire di casa per lavorare.

Il racconto che vi propongo oggi è stato scritto da DEBORA DE ANGELIS.
Un'altra visione. Un'altra prospettiva. Un altro salto.

Buona lettura.

RISVEGLIO
Lui la contemplava senza riuscire a distogliere lo sguardo dal suo pacifico volto addormentato.
Quella sconosciuta che gli giaceva accanto era la creatura con cui avesse sperimentato la sintonia più totale da che era al mondo.
Limbo estatico. In quella camera accaldata che condividevano da così poco tempo, il ragazzo era stato inaspettatamente richiamato alla vita da una dolcezza prepotente che non si era mai preparato a dover affrontare.
Avrebbe forse scoperto un innato talento nel capire come preservare ciò che per lui era ormai vitale, oppure avrebbe indugiato sul turbamento di quell'attimo senza riuscire a prolungarlo oltre?
La creatura al suo fianco si mosse, aumentando ancor più il contatto tra loro, pelle contro pelle.
Quella della ragazza era fresca come la tranquillità che emanava dal suo corpo, la sua invece era febbricitante. Eppure non la svegliava, non voleva appagare i sensi, in quell'istante, ma solo l'anima. La strinse a sé, desiderando di proteggerla.
Strana situazione, la loro. Il ragazzo la considerava unica nel suo genere, sebbene in effetti il mondo avesse già visto transitare un numero incalcolabile di amanti come loro. Amanti. Lui non l'avrebbe mai creduto effettivamente possibile, fintanto che lei non gli aveva fatto comprendere che lo fosse.
Avevano affrontato la prima volta l'argomento l'uno di fronte all'altra, seduti in terra, a gambe incrociate, nel salotto della casa di lui.
Andavano sempre da lui, perché la ragazza mostrava una palese reticenza ad accogliere chiunque nel proprio mondo. Non era però avara di se stessa ed entrava facilmente in quello degli altri, a volte in punta di piedi, altre, impetuosa come un tornado. Stavolta non era ben chiaro neanche a lei la natura di quel legame che si stava creando tra loro, indissolubile.
"Perché non hai ancora fatto l'albero di Natale?", gli aveva chiesto nel bel mezzo di uno sguardo di mutua comprensione che si erano scambiati a lungo, quasi che entrambi riuscissero senza sforzo a decifrare i meandri della mente e dell'anima dell'altro.
"Non credo nel Natale, io", aveva tagliato corto il ragazzo.
Lei aveva volto il capo con leggerezza, scuotendo la chioma fragrante di vaniglia. Aveva lasciato vagare lo sguardo per la stanza senza fretta, soppesando ogni angolo, ogni parete.
"In questa casa non c'è anima, non c'è luce. Non c'è calore. Insomma, non ci sei tu. Dov'è che ti sei nascosto?"
Lui si era domandato come ci riuscisse. Perché iniziavano a parlare di argomenti tanto semplici quanto banali, e poi lei trovava sempre il modo di dare forma alla sua spiazzante saggezza?
Si conoscevano da poco meno di un mese e già lei aveva avuto l'ardire di mettere in discussione i punti fermi della sua vita, adagiando lì per caso le sue considerazioni e svelandogli che quei punti, tanto fermi poi, non lo erano affatto.
Il ragazzo non aveva risposto nulla. Era vero. Quella in cui viveva era la casa della sua infanzia, quella che aveva condiviso con la sua famiglia, in cui era stato sereno, protetto. Ora era rimasto solo ad abitarla e provava una sconfinata tristezza.
Non c'era più sua madre con cui confidarsi, alla sera.
E gli mancavano persino i rimproveri di suo padre per via del suo disordine.
Ora era libero di provocare tutto il disordine che voleva. Ma era solo.
Lei gli aveva chiesto perché non percepisse il Natale. Stava cominciando a credere che questa festività serbasse un potere arcano e smisurato. Riusciva ad amplificare la gioia e la serenità, se già albergavano in te. Ma se non ve ne era traccia, nella tua vita, in quel periodo tutto si ammantava di un velo di oscura malinconia e arrivavi a desiderare soltanto che finisse prima possibile, e nel modo più indolore.
"Se vuoi lo facciamo. L'albero, intendo. Sai", aveva aggiunto guardando laconicamente uno dei numerosi quadri appesi alla parete, "ho sempre desiderato di poter fare l'albero con qualcuno. Da piccola chiedevo ogni anno a mia nonna di prepararlo insieme, ma non ho mai capito perché lei aspettasse sempre che io uscissi, per addobbarlo da sola. Io tornavo ed era già lì ad accogliermi, meraviglioso e sfavillante. Solo che io ne ero stata esclusa. Tagliata fuori. Forse", aveva concluso, "è un piacere talmente intimo che mia nonna voleva assaporarlo da sola. E che in ogni caso, se decidi di condividerlo, deve essere con qualcuno di speciale. E forse lei sapeva di non essere quella persona, per me".
Lui l'aveva scrutata, provando una nota di disappunto che sgomitava nella sconfinata ammirazione. Com'era stato possibile che lei gli avesse fatto desiderare di addobbare insieme l'albero di Natale, il simbolo di quella festa in cui già da anni aveva smesso di credere? Tuttavia, aveva deciso che non avrebbe dichiarato la resa senza dare almeno un po' di battaglia.
"Fammici pensare", le aveva concesso, "magari lo tiro fuori dalla cantina e mi aiuti a farlo, una volta o l'altra".
Mancavano allora appena cinque giorni a Natale.
"Tu che pensi dei momenti intimi condivisi con qualcuno di speciale?", aveva esordito la ragazza quando ormai lui riteneva di essersi messo sufficientemente in salvo. Che avrebbe potuto dire? Nella sua vita non c'erano ancora mai stati momenti intimi e non c'era mai stato nemmeno qualcuno di speciale. Aveva pensato di dovere assolutamente rispondere qualcosa, qualunque cosa che sembrasse profonda e sensibile, che non la deludesse. Ma anche a sforzarsi, non aveva trovato davvero nulla da dire.
Lei aveva capito ed era andata avanti.
"Penso che noi due dovremmo condividere qualcosa di speciale. Secondo me è la cosa più naturale, a questo punto". Era rimasta in silenzio, esigendo stavolta una risposta che lui avrebbe dovuto necessariamente trovare la forza di darle, anche se la paura e l'emozione che provava in quell'istante lo paralizzavano.
Pensava assai poco lucidamente. Ma era riuscito a intuire che sarebbe bastato solo un attimo di coraggio, per ottenere l'emozione più importante della sua vita.
Per ottenerla insieme a lei.
Si erano guardati ancora un istante. Poi lui si era alzato, aveva spento la luce e l'aveva presa per mano.
Distesi vicini in quel letto troppo spazioso per i loro corpi ormai indivisibili, lui continuava a contemplarla. I discorsi di qualche giorno prima gli sembravano distanti anni luce. Tutto si era svolto così in fretta da provocargli un perenne stordimento.
Lei sbatté le palpebre pigramente, poi fissò il suo sguardo in quello del ragazzo.
Rimasero per un po' assorti l'uno nell'altra, senza parlare. Non ce n'era bisogno.
"Buon Natale", sussurrò lei con la voce ancora roca del primo mattino.
"Buon Natale", le rispose.
Era felice come non lo era mai stato. Vivo, infine.
Le baciò le palpebre assonnate, poi l'abbracciò di slancio.
"E' un po' tardi, l'ammetto", le disse, "ma pensi che siamo ancora in tempo per addobbare l'albero?"

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