sabato 16 febbraio 2013

IL TRENO di GEORGES SIMENON


Non mi capita spesso di sentirmi a casa quando apro un libro, inizio a leggere una storia e, dopo poche righe, sono già dentro un intero mondo. 
Un autore può piacermi in linea di massima, però deludermi o lasciarmi disarmato in alcune sue prove letterarie (vedi Lansdale, Murakami, King...), con Simenon, tranne forse un'eccezione ("Turista di banane"), i suoi romanzi mi avvolgono sempre come la coperta di Linus: sento caldo, leggerezza, conforto e un sottile piacere in fondo al palato, come se stessi gustando un pasticcino. 
Anche "Il treno", scritto nel 1961, non ha mancato questa promessa silenziosa.  
In questo caso, però, con mio sublime diletto è andato oltre. 
E sì... perché può capitare anche questo: una storia corre nella direzione giusta e poi, inaspettatamente, fa un salto nel buio lasciandoti a bocca aperta.
Sulla maestria di Simenon nel creare trame e personaggi indimenticabili si è scritto davvero tanto... per un aspirante scrittore, le sue opere, sono una continua fonte di ispirazione. Così tonde, perfette, lisce... da stimolare rispetto e invidia.
In questo libro si racconta la storia di Marcel, un uomo comune, un padre di famiglia con una moglie, incinta di sette mesi e mezzo, una figlia di quattro anni e un piccolo pollaio di cui prendersi cura. Vive in una cittadina di provincia, vende e aggiusta radio, e conduce una vita ordinaria, consolandosi con i riti abituali delle sue giornate. 
Un uomo cagionevole di salute senza grandi sogni o aspirazioni, se non quello di vivere sereno la propria esistenza.
Tutto precipita quando, in poche ore, è costretto a lasciare la sua casa nel maggio del 1940. Le truppe della Wehrmatch stanno dilagando in Belgio e minacciano con le loro truppe i confini della Francia. Dalle Ardenne, dove è stato lanciato un ordine di evacuazione generale, migliaia di profughi lasciano le loro case, prendendo d'assalto i pochi treni disponibili nelle stazioni. 
Marcel salirà in un vagone bestiame, mentre la moglie e la figlia troveranno posto nelle carrozze lasciate disponibili per donne, bambini, anziani e ammalati. 
Il viaggio inizia e, in quel nuovo mondo fatto di niente, Marcel scoprirà tutta la fragilità e la forza dell'essere umano. 
Ridotti a poco più di ombre sfuggevoli dagli eventi, sparite le carrozze passeggeri per un assurdo errore nello smistamento dei vagoni, l'odissea procede tra attacchi degli aerei tedeschi, deviazioni assurde in tratti secondari della ferrovia, e soste in piccole stazioni dove li aspettano infermiere e volontari per aiutarli con cibo, vestiti e coperte. Tutto questo vive, o sopravvive, nel microcosmo del vagone tra lacrime, sorrisi, amplessi notturni (stranamente esplicitati senza pudore) e incontri inattesi.
Qui, Marcel, fa amicizia con Anna, una donna che è stata in prigione e di cui non saprà molto di più per tutto il viaggio. Si osserveranno, si aiuteranno, si ameranno selvaggiamente, quasi timorosi di perdere quell'ultimo anelito di vita, fino all'arrivo nel campo profughi. 
Qui le cose giungeranno a una conclusione. Forse l'unica possibile.
Il destino può farti incontrare degli occhi che non scorderai per il resto dei tuoi giorni, eppure, nonostante questo, sei consapevole che si tratterà solo di una gioia passeggera. 
Un romanzo forte, intenso, umanissimo... che lo stesso Simenon è riuscito a scrivere solo dopo molti anni essere stato lui stesso responsabile di un campo profughi belgi a Rochelle, nel 1940. Ossessionato dai ricordi di guerra, attese 20 lunghi anni, per trovare la forza di mettere su carta i fantasmi del suo passato. 

Un libro da leggere se non temete di scoprire il sapore vero dell'erba umida.

2 commenti:

  1. Una recensione bellisisma e davvero sentita. Sei uno scrittore elevato al quadrato perché non solo sai raccontare le tue storie ma anche quelle degli altri. E questa è una sorprendente abilità. Grazie per il coinvolgimento.

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