giovedì 26 luglio 2012

GIULIETTA PREGA SENZA NOME di ELENA TORRESANI


Ci sono dei libri che capitano nella tua vita come un dono.
Dei libri che come inizi a leggerli ancora non sai quanto entreranno in profondità dentro il tuo cuore.
Quanto ti emozioneranno, parleranno, comunicheranno con la parte più profonda del tuo spirito inquieto. E il miracolo è ancora più sorprendente quando il libro si traveste con un tono leggero e ironico, sebbene l'incipit non lasci nessun spazio alla moderazione.
"Mi chiamo Giulietta, e domani mattina morirò. Ho trascorso buona parte della mia vita inseguendo l'amore: ho cominciato a vivere davvero solo quando ho smesso di farlo.  Non credete a tutto quello che vi dicono: spesso ciò che conta di più ha un nome che non conoscete ancora."
Mi era già capitato l'anno scorso con lo splendido romanzo di Francesco Abate, "Chiedo scusa", che raccontava con tono lieve la storia di un doloroso e complicato trapianto di fegato, e ora ricapita con Elena Torresani e il suo sorprendente "Giulietta prega senza nome".
Un romanzo che riesce a toccare corde intime e segrete con una leggerezza davvero inusuale.
Mi sono sentito spesso vicino ai pensieri e alle tenere stranezze della protagonista del libro.
Tra le righe c'è molto di noi.
Molto di quello che vogliamo vedere e moltissimo di quello che, testardi, ci ostiniamo a nascondere sotto un bel cerone di facciata.
Qui non ci sono trucchi e maschere.
Quando arriva il momento di confrontarsi con le cose importanti della vita, ci rendiamo conto che perdiamo davvero troppo tempo dietro cose inutili. Un bla-bla senza senso e importanza.
"E' come abbiamo vissuto il tempo a nostra disposizione che fa la differenza tra il morire bene o il morir male; e il numero di sogni che abbiamo lasciato marcire nel cassetto restando fermi a fissare il soffitto, impegnati a pagar bollette o a ricordare il motivo per cui abbiamo litigato con qualcuno. Le piaghe da decubito che fanno più male non sono quelle della carne, ma quelle di cui abbiamo lasciato ammalare i nostri sogni."

Ho avuto il piacere di intervistare l'autrice dopo la lettura del libro.
Ecco il risultato del nostro scambio umano e professionale.



Com’è nata l’idea del romanzo?
Il romanzo è nato da una promessa: Giulietta mi ha chiesto di raccontare la sua storia, e l’ho fatto.
Una storia scritta in prima persona crea subito empatia con il lettore. Un filo di condivisione e auto-rappresentazione che può creare qualche fraintendimento nella percezione esatta del testo. Ho letto in un articolo che il romanzo racconta una storia vera e che per te era molto importante scriverlo e farlo leggere. Vuoi dirci qualcosa di più o sono indiscreto?
Dopo il caso Englaro, e la lotta aperta e coraggiosa del padre di Eluana, mi sono trovata coinvolta in prima persona in una storia di privazione di quello che reputo un diritto assoluto: scegliere come morire, quanto soffrire e come gestire il proprio fine vita.
Non potevo tacere, non era giusto: per Giulietta, e per tutti noi. Perché sì, il fine vita è una faccenda che – ci piaccia o no – prima o poi riguarda tutti.
Credi che la tua esperienza come blogger abbia influenzato la tua scrittura? In diversi passaggi ho sentito molto forte il ritmo, lo sguardo e le sfumature tipiche del linguaggio usato dai blogger. E’ un’impressione sbagliata la mia o c’è qualcosa che unisce le due forme di espressione?
Se esistesse una metrica dei capitoli, i miei sarebbero post. Scrivo libri come se scrivessi il blog di una storia. Ormai quasi vivo la vita come se fosse un blog: con quelle pause, quell’intensità, quelle riflessioni concentrate e a tratti assolute. Quando vedo, ascolto e provo cose di cui so che scriverò, la mia narrazione emotiva già si incanala su quel ritmo: deformazione pericolosissima, soprattutto quando si entra in contatto con l’amore.
Giulietta sembra condividere alcune cose con te. La scrittura, la creazione di un blog. L’attenzione per il mondo femminile. C’è qualcosa di te in lei o è solo astrazione o pura coincidenza?
C’è moltissimo di me in lei: la necessità di dover camuffare la vera biografia di Giulietta per non palesarne eccessivamente l’identità reale, mi ha portato a mescolare molte vite tutte insieme, compresa la mia.

L’uso dell’ironia. Ecco un particolare che mi ha colpito moltissimo. Usare il sorriso, a volte anche crudele e beffardo, per raccontare la vita in tutte le sue sfumature. E la sincerità. Ad esempio quando si parla di sesso o lo si descrive. Mai stupido, mai convenzionale. Quanto hai lavorato su questi aspetti per rendere meno “pesante” una storia forte e intensa?
Questi aspetti sono me, è quello che io faccio abitualmente nella vita di ogni giorno: sotto questo punto di vista non è stato un gran lavoro, è una sorta di attitudine. Chi mi segue suFacebook, ad esempio, sa bene che lo sguardo pungente e sarcastico sono un’arma che uso spesso: il sorriso, per crudo che sia, è un’arma di sopravvivenza. Anche quando è privo di illusioni e d’incanto.
La tua passione quando nasce e dove e quando ami scrivere?
La mia passione per la scrittura è nata durante l’adolescenza, con la Smemoranda. Per 12 anni, ogni giorno, mi sono raccontata su quelle pagine. Quello che sentivo era troppo per star tutto chiuso dentro di me: mi salvavo la vita con un’emorragia d’inchiostro.
Per noi nativi cartacei, la Smemoranda può essere considerata un antenato del blog.
Ho trovato molto belle le parti che raccontano i viaggi di Giulietta. L’Africa, il nord estremo, le corsie degli ospedali. C’è come la sensazione che tutto quello che è stato raccontato prima torni a legarsi e ad armonizzare le informazioni precedenti. Hai usato l’immaginazione o ti sei documentata?
Ho poca, pochissima immaginazione, e cerco di non parlare mai di ciò che non conosco.Se non sono stata in un luogo, prima di scriverne mi documento, assorbo i racconti di chi c’è stato e cerco di sentirne le energie.
La prova più difficile per me è stata quella di raccontare – da sana – la vita di una morente, il suo punto di vista e le sue emozioni. Era sempre complicato mettersi nello stato d’animo adatto per sedersi di fronte alla tastiera e scrivere di un conto alla rovescia senza possibilità di scampo.
Essere donna oggi cosa significa per te?
Riuscire ad uscire dalle dinamiche di pensiero maschili che abbiamo introiettato nell’ultimo paio di millenni, dando forza al potere femminile assoluto, che è quello di nascita e rinascita, creazione, condivisione e comunicazione.
Eutanasia. Una parola grande che spaventa e intimorisce. Il tuo libro prende una posizione netta. Vuoi dirci qualcosa di più?
Nessuno dovrebbe permettersi di mettere bocca nei nostri letti, d’amore o di morte che siano. Nessuno dovrebbe avere il diritto di dirci chi amare e come morire. Ogni adulto capace di intendere e di volere dovrebbe poter scegliere, essere informato, e godere di un diritto che io giudico “naturale”. Purtroppo il mio pensiero è ucciso da troppi condizionali.

Il tuo romanzo è uscito prima con IL MIO LIBRO. Un testo auto pubblicato che solo ora è arrivato nelle librerie grazie a VOLTALACARTA. Ci racconti com’è nata l’idea di pubblicarlo usando questo espediente e com’è arrivato nelle mani degli editordella casa editrice che ti ha scelto?
Inizialmente ho proposto Giulietta a diversi editori, ma è stato rifiutato. Visto che questo libro era una promessa, ho deciso di auto pubblicarlo su “il mio libro”. Tutti mi avevano consigliato di non farlo: l’auto pubblicazione è vista come una sorta di vergogna senza ritorno, che ti condanna all’esilio imperituro dal mercato editoriale. Io me ne sono fregata: una promessa è una promessa.
Lì mi hanno trovato Luana e Silvia di Voltalacarta: si sono innamorate di Giulietta, e si sono lanciate nell’impresa kamikaze di pubblicare un romanzo che era già sul mercato delbook-on-demand da due anni.
Ho visto che la copertina usata da Voltalacarta è la stessa usata per l’autopubblicazione. Ci racconti come nasce l’idea della cover e come l’hai realizzata?
Volevo una copertina che raccontasse del viaggio, della vita, del bagaglio che ognuno di noi si porta dietro. Ma anche delle attese, delle felicità mancate, delle aspettative sociali deluse. Credo che la copertina di Giulietta racchiuda tutto questo: grazie a MonicaPapagna, la fotografa che si è occupata anche della copertina del mio primo libro, credo che il risultato sia davvero meraviglioso.

La tua prima memoria culturale?
La prima che conta è sicuramente legata alla mia mano che prende un libro con la copertina completamente gialla dagli scaffali della biblioteca scolastica: era “Se il sole muore” di Oriana Fallaci.
Biografia in una playlist?
Franco Battiato con “La voce del padrone” quando ero piccola e mia madre puliva casa cantando a squarciagola.
Gli U2 con “The Joshua Tree” e “Rattle and Hum” nella prima adolescenza.
Tutta la musica tamarra degli anni ’80 e primi ’90 subito a seguire (Duran Duran compresi)
De Andrè, i Subsonica e i Depeche Mode invece rappresentano i miei trent’anni, la maturità felice.
In questo periodo mi sto ammazzando l’anima coi Massive Attack e i Portishead.
Cosa stai leggendo in questo momento?
“Elogio dell’imperfezione” di Rita Levi Montalcini. Devo scrivere un pezzo su di lei e mi sto documentando.
Mai compiuto illegalità nel nome della cultura?
Sì, sorridere e ringraziare amministratori e politici con cui normalmente non dividerei un piatto di pasta.
Feticismi tecnologici?
Sono tecnolesa: adoro la tecnologia ma non ci capisco nulla. La compro e – per pigrizia e inettitudine - la uso a un centesimo delle sue potenzialità.
Cosa odi e ami del web?
Sono un’iperconnessa, amo lo sharing, i feed-back che sbugiardano, i pochi confini.
Quello che odio del web non è niente di specifico del web, ma è qualcosa che arriva drittodritto dall’off-line: l’eccesso di populismo, ad esempio.
Un gesto politico importante?
Informarsi, prima di tutto.
E poi alzare il culo dal divano e lottare per qualcosa.
Non basta postare un link o lamentarsi davanti alla macchinetta del caffè.
La frase scusa preferita?
Non è una scusa, è la verità: “Perdonami, il mio cervello è un colabrodo.”
Sono in overload costante.
A 13 anni cosa volevi fare?
La manager (dio mio, non avevo proprio capito una cippa)
Hai per un giorno il potere assoluto: la prima cosa che fai?
Ridistribuire la ricchezza e creare un sistema economico che garantisca equità.
Ma anche liberare gli esseri umani dai peli superflui e dagli odori corporei molesti.
Se la tua vita fosse un film chi sarebbe il regista?
Un borderline tra Bertolucci e Burton.
Come spiegheresti a un bambino la parola: felicità?
Non spiegargliela potrebbe essere il vero regalo: ho passato metà della vita a cercare di capire come mai giudicassi mediocre quello che secondo gli altri avrebbe dovuto farmi felice, scervellandomi per individuare cosa non andasse in me.
Cosa conta più dell’amore?
Realizzare i propri sogni e i propri talenti (che poi è anche questa una forma d’amore)
La tua casa brucia, cosa salvi?
Smartphone e caricabatterie.
Se dico Italia… cos’è la prima cosa che ti viene in mente?
Vergogna
La volta che hai riso di più?
La volta in cui si ride di più è sempre quella in cui ci si bagna le mutande. Ma non mi è ancora successo.
Una cosa che non hai mai capito della gente?
Perché ad un certo punto non si stufa di essere infelice.
Una cosa che volevi e non hai avuto?
Un’eredità.
Un consiglio che non hai dimenticato?
“Con quello non ci vuole un preservativo: ce ne vogliono sei” (mia madre)
Descriviti con cinque parole.
Non sono capace.
Cosa guardi in tv e cosa odi della tv?
Guardo quasi esclusivamente canali all news. Da quando hanno chiuso Current TV trovo inguardabile quasi tutto il resto.

Una frase che ti rappresenti?
È di Baricco: “Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde.
Quanto conta il sesso nella vita?
Sempre di più, ogni giorno che passa.
Diventa una connessione con l’altro di un’intensità inimmaginabile fino a qualche anno fa.

Il senso più importante
L’olfatto. Ci sono odori che per me rappresentano l’estasi totale. Quello del corpo che desidero e quello del piatto che amo, ad esempio.
Il film animato e la serie tv più amati da bambino?
Heidi, me l’ascoltavo perfino su musicassetta.
Cosa c’è sempre nel tuo frigo?
Da quando sono in Dukan ho un frigorifero tristissimo, non farmene parlare.
Una cosa stupida che non riesci a smettere di fare
Desiderare morbosamente una sigaretta.
Un ritornello che non riesci a toglierti dalla testa.
“è meglio prenderlo che prendersela”
(ma me lo dico solo nella testa, perché mi devo ricordare di essere una signora)
Icone moderne?
Gli occupier.
Il vero lusso è?
Prendere coscienza che la vita è qualcosa di più che mangiare, defecare, pagare le tasse e riprodursi. E agire di conseguenza.
Progetti futuri?
Godermi mio nipote, finire i due libri che sto scrivendo, fare molto l’amore.

Chi inviteresti alla cena dei tuoi sogni? Tre nomi.
Marco Travaglio, Roberto Saviano e Davide Scalenghe.
Male assortiti tra di loro, mi rendo conto.
C’è l’opzione “tre cene singole”?
Se alzi gli occhi al cielo cosa pensi?
Al viaggio. A tutte le persone che non ho ancora incontrato. A tutte le storie che non ho ancora raccontato. E all’Uomo Disegnato.

Se volete conoscere Elena di persona non mancate all'appuntamento di venerdì 27 luglio ai giardini pubblici di Sassari alle ore 19.00. Presenterà il suo romanzo all'interno della manifestazione “TuttiIDIRITTI. Italia, un Paese civile?” Elena Torresani presenta “Giulietta prega senza nome” (Voltalacarta, 2012). Interverrà la dott.sa Chiara Musio, Coordinatrice Reg. Sardegna della ONLUS SICP (Società Italiana di Cure Palliative)

Grazie ancora a Elena per la disponibilità e non perdete d'occhio le iniziative della casa editrice VOLTALACARTA.

Copertina: 9
Trama: 9
Stile: 10
Personaggi: 9

1 commento:

  1. Una bellissima intervista per un'autrice che non conoscevo. Grazie per il consiglio. I. B.

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