mercoledì 28 ottobre 2015

VIVERE SENZA PAURA


Noi non c'eravamo abituati. Mi pare di no. Se ci penso bene mi pare di no. Forse non ricordo bene io, perché a volte le pieghe più nascoste della realtà ci sfuggono per troppa fretta e distrazione. Ci devo rimuginare bene su questa cosa, ma a essere sincero fino al midollo...sì, ecco, mi sembra proprio che non c'eravamo abituati a tutti questi giovani uomini che ci chiedono qualcosa lungo le strade della nostra città. Soldi, chiedono soldi. Seduti per terra, fuori da una Banca, fuori da un negozio di mutande fashion, oppure fuori da un negozio di Kebab gestito da dei pakistani. 

Sono posizionati strategicamente ovunque. Una scacchiera della disperazione. Una ragnatela impossibile da evitare. Ci vai a sbattere sempre contro, E quando ci passi davanti, semmai con il giornale appena comprato sotto il braccio o le buste della spesa cariche di roba, ti senti un verme perché loro sono lì, seduti per terra con delle scarpe sgangherate e un giubbotto troppo grande o troppo piccolo, e tu passi e fai finta di niente. 
Oppure dici "Mi dispiace non ho niente", o tiri fuori la solita balla del "Ho dato già qualcosa a un tuo collega poco fa!". Collega? Parliamo di una confraternita? Di una categoria specifica di lavoratori? Oppure diciamo "collega" senza alludere a traffici e mafie e vogliamo semplicemente dire "compare di sfiga" o "amico di sventura"? 
Io mica lo so bene come funziona la mia testa e cosa mi prende in certe situazioni. Perché mi vergogno di me stesso e cerco di schivare quelle ragnatele allungando il percorso per tornare a casa? Mi pesano i loro occhi scuri, umidi, profondi o forse in quel nero ho il timore di vedere cose che non voglio scoprire. Io al loro posto. Io un paese straniero lontano dalla mia famiglia, la mia terra, i miei odori e le mie certezze. Io buttato per strada a chiedere spiccioli per... per qualcosa. Qualsiasi cosa. 
Ci penso spesso a questa cosa e non so bene come fare... forse per timidezza e inadeguatezza. Io ci sono nato con la sensazione di essere sempre fuori fase. Potrei sedermi affianco a uno di loro e presentarmi. Ecco, sarebbe così semplice. Io sono Carlo... tu come ti chiami? Forse riusciremmo a parlare e forse potremmo andare a berci una cosa insieme come due compari, come due amici, spezzando l'odiosa ragnatela che trasforma lui in un profugo disperato e me in un occidentale privilegiato. Livellare le altezze e capire che siamo due ragazzi, due uomini, due esseri umani che si possono raccontare qualcosa davanti a un bicchiere di birra. E io lo so che sarebbe bellissimo farlo... ma tutte le volte mi blocco e cambio strada. Perché non vedere, non sentire, non toccare è molto più semplice che VIVERE SENZA PAURA. 

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