Ieri sono tornato nel carcere di Nuchis per il corso di scrittura creativa.
Cielo nero, pioggia e freddo. E sotto quel cielo rabbioso la struttura del carcere sembra ancora più triste, asettica, grigia con le sue linee moderne e severe.
Uno scatolone anonimo dietro un enorme cancello metallico che si apre e ci lascia entrare dopo aver dichiarato al citofono la nostra identità e il motivo perché siamo lì. Corriamo verso l'edificio sotto la pioggia e veniamo accolti da una guardia che non ci conosce e non conosciamo. Tutte le volte che succede, e ripetiamo il motivo che ci porta a essere lì in quel momento, ci guardano un po' straniti, come se non capissero bene cosa significhi la definizione: "scrittura creativa".
La guardia verifica i nostri permessi e ci fornisce il cartellino giallo del volontario che ci permette di passare attraverso il metal-detector e, finalmente, entrare nel lungo corridoio che ci porterà, dopo un altro cortile e altre due porte blindate, al caseggiato dove si trova l'aula scolastica. I passi rimbombano nel corridoio e le voci si riverberano in modo strano sulle pareti.
Prima di attraversare l'ennesimo cancello, ci fermiamo nella "hall" del secondo posto di guardia e ci prendiamo qualcosa dalla macchinetta automatica.
Due bottigliette d'acqua, una naturale per me e una gasata per Giovanni, e poi qualcosa da mangiare, perché il distributore non fornisce resto e devi pur consumare i soldi che c'hai infilato. Giovanni preme il codice di un Bueno e poi quello che a lui sembra un cioccolato fondente.
"Guarda... costa pochissimo!"
Preme altre due volte il codice e fa cadere altre due confezioni di cioccolato. Apro il cassetto, prendo la prima, e mentre sta digitando il codice per la terza volta tutto contento, guardo l'involucro e leggo: Caffé Espresso gusto Forte.
"Giovà, guarda che sono cialde per la macchina del caffè... mica cioccolato!"
"Eh, come...?"
Guarda anche lui l'involucro e capisce che ho ragione.
E infatti, in un tavolino appoggiato al distributore, c'è una macchinetta per il caffè espresso, una scatola con bicchierini di plastica, zucchero - una busta aperta con un cucchiaino dentro - e palette.
Una guardia ci spiega come funziona il marchingegno e ci indica i diversi pulsanti per averlo corto, lungo, lunghissimo.
Giovanni consuma la cialda che la guardia ha infilato nella macchina per la dimostrazione e io metto in tasca le altre due per quando finiremo la lezione e ci servirà qualcosa di caldo e forte.
Entriamo nel reparto dove si trova la chiesa, la palestra e la sala colloqui, e giungiamo nella zona dove, a destra, c'è un presidio sanitario, e alla sinistra, la biblioteca e le aule.
Troviamo già in aula Massimiliano e Raffaele e in pochi minuti arrivano tutti gli altri. Riappare anche Daniele che non veniva da un bel po' di tempo.
La presenza o l'assenza dei detenuti è regolata dalla vita complessa del carcere. Ci sono le visite mediche, le telefonate alle famiglie, le esigenze tecniche e burocratiche e noi, come surfisti un po' fuori forma, dobbiamo assecondare il moto delle onde per non cadere in acqua con una sonora e imbarazzante spanciata.
Iniziamo la lezione. Massimiliano, una vera macchina da guerra, ha scritto un altro capitolo del romanzo. Inizia a leggerlo e, con mia grande sorpresa, mi rendo conto che la storia prende sempre di più una forma definita.
Lui scrive in modo denso, ricco, a volte troppo barocco, ma ha un'idea chiara di dove vuole andare a parare.
In più di un'occasione mi sono detto: "Ma perché non la scrivo io questa storia?"
Questo pensiero mi ha fatto capire quanto mi stia coinvolgendo e appassionando tutto il progetto.
I compagni di Massimiliano restano sempre un po' interdetti dopo la lettura del nuovo capitolo. Lui scrive più di tutti e ha una bella resa e una bella tenuta. Si parla, si discute e si cerca di focalizzare meglio i vari punti e i vari personaggi.
Poi legge Pino il suo pezzo. Ecco, Pino scrive molto meno, ma ha una dote incredibile: la concretezza. Quello che scrive è sempre calibrato, misurato, mai ridondante o eccessivo.
Dopo Pino intervengono tutti gli altri. Chi con un passaggio scritto, chi dicendo semplicemente la sua. Carmelo ci legge un punto di raccordo della storia e cerchiamo tutti insieme di vedere cosa si può inserire e cosa no.
Il problema è che tutti lavorano per conto loro nelle loro celle e hanno un reale confronto tra di loro solo il lunedì, il giorno della lezione in aula. Per questo ci chiedono se è possibile ottenere dalla direzione la possibilità di un incontro autogestito, una volta a settimana, per assemblare le varie parti, renderle più omogenee e arrivare in classe con un testo più definito.
Ecco, per me e Giovanni, vedere quanta passione ci stanno mettendo, è una piccola, grande vittoria.
Qualcuno ci lascia prima della fine della lezione per andare a telefonare a casa (anche queste attività sono regolate da turni e orari precisi) e l'ultima parte dell'incontro viene dedicata a un po' di conversazione per scambiarci pensieri e opinioni.
Capita proprio in questo momento, quando chiedo a Massimiliano com'è riuscito a far leggere le cose che ha scritto alla moglie - durante la lezione ci ha riferito il punto di vista della donna sul personaggio principale - che mi risponde: "Ho visto mia moglie per due volte e per tre ore di seguito."
"Avete avuto un incontro?"
"Sì, e le ho letto tutto quello che ho scritto fino a questo momento."
Incuriosito chiedo come avvengono gli incontri e mi spiega che esiste una sala per i colloqui dove puoi stare con i tuoi cari e abbracciarli e toccarli per non perdere il contatto con il mondo degli affetti.
"Ci si tiene per mano, ci si guarda, si parla... ma non puoi fare altro", mi dice. "E io mi chiedo, come può una famiglia e una coppia restare unita, se in 10 anni non posso mai toccare la mia donna in modo più intimo?"
"Non esiste la possibilità di avere una stanza dove passare alcune ore da solo con la propria compagna?"
"Non in Italia. Qui la situazione è davvero migliorata rispetto ad altri carceri... qui non siamo separati da un vetro e possiamo prenderci per mano e sentire il calore della pelle e il profumo della voce... ma in altri posti non è così."
E qui interviene Carmelo e rievoca aneddoti di altre carceri... un angolo particolare di un cortile... un albero, dove nascondersi con la propria compagna e consumare un amplesso frettoloso, ma necessario.
"Dovrebbero aiutare il detenuto a riabilitarsi in tutti i sensi e, sopratutto, a non perdere il mondo di affetti che ha lasciato fuori", ha aggiunto Massimiliano.
E Carmelo, in modo duro e pragmatico, ha risposto che molte cose non vanno, ma che lì dentro ci sta gente che ha ammazzato e venduto la morte, mica pezzi di pane, e che non bisogna mai dimenticare le vittime e le loro famiglie.
Io ascoltavo il loro confronto e mi domandavo cosa potrei fare io se mi venisse negata l'affettività delle persone che amo. Mi chiedevo come si può privare un uomo della sua sessualità. Sono tutte domande retoriche. E spesso sul carcere si è sentito e letto di tutto. Forse ci si adatta e si cerca nei compagni un gesto e un'attenzione che non può arrivare da nessun altro. Tutte le istituzioni chiuse tendono a sviluppare un certo tipo di relazioni umane... però... ecco, mi chiedo cosa sia giusto fare per rispettare fino in fondo il detenuto.
Finita la lezione, abbiamo chiesto alla responsabile la possibilità di una giornata in più per un incontro autogestito, e lei, molto disponibile, ha voluto sapere il motivo della richiesta, i nominativi dei detenuti coinvolti nel progetto e ci ha pregato di non promettere mai niente prima di consultare loro.
Ci sono dei protocolli e delle regole da seguire e noi, un po' imbarazzati, ci siamo scusati e le abbiamo chiesto di gestire lei la cosa e di decidere come e quando fare accadere il tutto. Per noi importa il risultato finale e non il modo come ci si arriva.
Prima di uscire dalla struttura ci siamo fermati davanti al distributore per consumare le cialde del caffè rimaste nella mia tasca. C'è freddo e siamo stanchi. Vogliamo un caffè lungo per scaldarci e tirarci un po' su. Mi avvicino alla macchinetta del caffè e scopriamo che non ci sono più bicchierini e palette.
Azz... voglia mortificata. E ora?
Andiamo via sconsolati, ci dividiamo il Bueno e ritorniamo verso casa. Ancora pioggia e freddo. Parliamo della lezione, dei progressi, delle motivazioni dei diversi alunni e ancora una volta penso alle parole di Massimiliano e Carmelo.
Una polaroid chiara nella mia mente.
Ancora una volta mi sento in bilico su un'onda troppo grossa e impetuosa.
Difficile stare in piedi e non cadere... difficile non finire sotto il pelo dell'acqua in tumulto.
Mano nella mano. Per sempre. Io e te.
.... Carmelo ha capito tutto, parole dure e fredde, taglienti come lame di ghiaccio.
RispondiEliminaCè che chi dall'altra parte del cancello non potrà telefonare, toccare e sentire alcun soave profumo di voci familiari. Ma colmare il tempo a pulire una lapide, cercare corpi senza più forma o a chiedersi tutta la vita perchè. qualcuno ce la fa a superare tutto ciò, altri un pò meno. loro sono vivi, gli altri, superstiti.
Vero. Complesso schierarsi... perché schierarsi è inutile e stupido. Ci sono tante vittime... dentro e fuori. Ieri, guardando Presa Diretta sui collaboratori di giustizia, mi è venuto il sangue freddo. Siamo davvero persi in un mare di cose assurde.
RispondiEliminaRitengo che un sistema penitenziario come quello attuale fallisca il suo scopo. Se la pena non viene accompagnata da una rieducazione capace di facilitare il reinserimento tutto è vanificato. Anche chi deve pagare ha diritto alla dignità.
RispondiEliminaLa dignità è il primo diritto di ogni essere umano. La prigione non può essere un parcheggio... anche per chi ha la "fine pena mai"... deve vivere in modo costruttivo il tempo della pena. Per questo mi chiedo cosa si possa fare per aiutare chi sbaglia a cercare una vita di riscossa... perché c'è la paura del DOPO... ed è una paura grande.
RispondiEliminaNel piccolo della vostra iniziativa fate qualcosa di importante per i detenuti che vi partecipano. Gli ridate quella dignità attraverso un sincero contatto umano e degli strumenti di fuga da quel "parcheggio". Le istituzioni dovrebbero cambiare qualcosa in maniera radicale, ma non è già rilevante un progetto che fa la differenza anche se per pochi?
RispondiEliminaHai ragione. Io lo scopro a ogni nuovo incontro quando vedo la gioia nei loro occhi e la smania di scrivere, inventare, immaginare una vita, un mondo. Ce lo dicono sempre... "Meno male ci siete voi... non arrendetevi... non abbandonateci." E noi, per quanto possibile, porteremo avanti il progetto con tutta la forza e l'entusiasmo che riusciremo al alimentare anche grazie a loro. :-)
RispondiEliminaGrateful for sharing tthis
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