Ieri siamo tornati nel carcere di Nuchis dopo la pausa natalizia. Confesso di averci pensato spesso "ai miei ragazzi" durante le vacanze.
Ho provato a immaginare il loro cenone di Natale e il loro Capodanno e, come promesso, ho brindato alla loro salute durante il pranzo del 25 con la mia famiglia e la sera del 31 con i miei colleghi.
Siamo tornati con quattro bustoni di libri da donare alla biblioteca del carcere e con un rotolo di letterine scritte dagli alunni della scuola elementare dove insegnava Giovanni, il mio compagno d'avventura. Lettere semplici, colorate, ingenue nella loro spontaneità. Un bambino augurava ai detenuti un natale freddo, una cosa che può apparire crudele e fuori luogo se detta a un carcerato, ma con la sua frase ingenua intendeva semplicemente augurare delle feste "classiche"... con neve, abeti decorati e camini accesi. In carcere non ci sono camini e non ci sono molti abeti decorati (o almeno io non ne ho visto), ma ci sono molti presepi realizzati dai detenuti con una maestria davvero impressionante. Presepi che vengono poi donati a chiese e strutture di vario tipo.
Siamo arrivati in aula passando attraverso le solite porte e i soliti posti di guardia: ripetendo i nostri nominativi a guardie che non ci conoscono nonostante il numero di volte che ci hanno visto passare lungo quei corridoi tutti uguali (ma quanti agenti lavorano in questo carcere?) e portandoci dietro le buste con i libri.
Questa volta gli alunni tardano ad arrivare: forse la direzione si è dimentica del nostro arrivo il giorno dopo l'Epifania e cercano di recuperare tutti i detenuti nelle varie sezioni. E infatti i ragazzi ci confermano che non sapevano nulla della lezione e sono stati colti di sorpresa. Raffaele mangiava un panino con salame e maionese e io, che morivo di fame, gli ho detto: "E già potevi portarne uno anche a me!"
Massimiliano entra in aula e mi regala una Moleskine. Resto senza parole. Ringrazio e gli rivelò che me ne serviva proprio una per scrivere gli appunti del nuovo romanzo.
Inizia la lezione. Massimiliano legge per primo quello che ha scritto durante le vacanze (nostre... non sue). Ascoltiamo il lungo capitolo - il secondo - che fa entrare in scena un nuovo personaggio. Pagine e pagine scritte con passione e una capacità superiore alla media. Raffaele, seduto vicino a me, mi sussurra all'orecchio: "Ma ha già scritto tutta la storia?"
Finito di leggere tutti i presenti dicono la loro sul pezzo e si commenta insieme. Si procede così con Carmelo, Raffaele, Mario e tutti gli alunni che hanno elaborato qualcosa di nuovo. Si discute, si affrontano snodi e punti cruciali della scena, si analizza il modo più efficace per rendere credibile un dialogo e un personaggio.
Ci sono delle resistenze naturali, fisiologiche... c'è la tendenza a raccontare troppo senza andare davvero in profondità. I dialoghi sono complessi per loro, amano invece moltissimo le descrizioni. Con le descrizioni si sentono a casa e si esprimono con molta generosità. Troppa. Se possono metterci una parola in più ce la mettono invece di toglierla. Sono convinti che scrivere tante parole voglia dire scrivere figo. E invece bisogna scrivere le parole giuste, quelle utili, essenziali, tutto il resto si elimina, si sacrifica per dare un ritmo e un senso alla storia.
Raffaele è forse il meno dotato tecnicamente, ma ha un istinto che gli fa quasi sempre centrare il punto: poche parole maledettamente efficaci. Unire questi talenti, queste urgenze, queste pulsioni creative è lo scopo del nostro essere qui. Esserci per dare un valore a quella bolla sottovuoto che è troppo spesso il carcere.
A Nuchis sono fortunati. C'è una direttrice illuminata che sta portando avanti un lavoro incredibile per "aprire" il carcere e fare entrare il mondo di fuori nell'universo incredibile nascosto dietro le sbarre.
C'è bisogno di condivisione, scambio, incontro di idee e sentimenti.
"Ma perché tu non sei cambiato da quando sei entrato qui dentro?" mi ha chiesto Carmelo.
E certo che sono cambiato. Io lo so e lo sa qualsiasi persona-volontario-operatore che viva questa esperienza con il cuore e la mente aperti all'incontro.
Ho ascoltato le loro parole - sono espertissimi di leggi e procedure - e mi sono sentito un ignorante davanti alla mole di informazioni che mi sono piovute addosso. Massimiliano mi rivela di essere stato citato da Saviano sul libro "Zero zero zero" e di essere stato citato da altri 6 o 7 libri.
"Lo so. Tu sei il Principe."
"Ah, sai tutto allora?" mi chiede.
"No, so solo questo. Non ho mai cercato niente su internet."
Mi confida di non aver letto il libro di Saviano e di non avere neppure nessuna curiosità di farlo.
"La verità la conosco solo io e un giorno, chissà, mi piacerebbe scrivere un romanzo che non parli di me... ma del mondo che conosco. Semmai lo scriveremo insieme."
Scriverlo insieme? Ci penso un attimo e sorrido. Mi sembra un progetto più grande della mia capacità di proiezione.
Tornato a casa ho cercato per la prima volta qualche notizia sul Principe: trovare delle pagine di giornale che parlano di lui, vedere la sua foto segnaletica e leggere diversi passaggi della sua vita criminale mi lascia basito. Non riesco a sovrapporre l'immagine del Massimiliano che mi ha regalato la Moleskine, con il più grande trafficante di droga. E così mi capita con Carmelo: trovo persino una registrazione audio originale del processo su Radio Radicale e riesco ad ascoltare la sua voce inconfondibile. La voce di colui che mi ha deliziato con i suoi cannoli il 23 dicembre. Trovo anche qualcosa su Raffaele e scopro che fa parte di una famiglia criminale molto conosciuta a Quarto Oggiaro. Leggo di morti violente e lotte tra bande, e anche questa volta penso al viso del ragazzo che mi ha chiesto di correggere la favola che ha scritto per la figlia. Chiudo tutto e cerco di pensare ad altro.
Mi è impossibile raccontare tutte le sfumature di quello che sento, vivo, penso in carcere. Mi rendo conto di avere davanti degli uomini che cercano di evolversi e di crescere. Uomini che temono il futuro e bruciano di desiderio e di paura. Perché la libertà è bella... ma pericolosa e scivolosa. Pensi di averla tra le mani e poi ti scorre via tra le dita... troppo rapida e tagliente per non ferirti.
Mi sono affezionato a questi uomini e non riesco a essere obiettivo. Dovrei pensare al male che hanno fatto, alle vittime, al dolore... e invece penso soltanto alla lezione e al progetto da portare avanti. E credo che questo sia il segreto per andare avanti: non giudicare il passato e crescere insieme senza barriere e pregiudizi verso il futuro che si avvicina.
Oggi ho ripreso a scrivere il mio nuovo romanzo con una voglia e una determinazione maggiore di ieri.
Ho una Moleskine nuova da inaugurare e tante idee da concretizzare... la sfida continua.
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