Salve, amici e amiche, sono passati quindici giorni dall'uscita del romanzo di Susanna Raule per Otto Micron e ora, finalmente, ho il piacere di proporvi l'intervista che mi ha concesso con la sua solita grazia e ironia.
Perché a volte, conoscere meglio un autore, ci permette di capire meglio i segreti nascosti tra le pagine di un suo romanzo... e con Susanna Raule questa regola è ancora più valida e pertinente.
Allacciamo le cinture di sicurezza e... partiamooooo...
Ciao, Susanna. La
prima domanda è d’obbligo: come sei finita a pubblicare un romanzo con Otto
Micron?
Be’, se non lo sai tu! In realtà è stato proprio perfetto,
una di quelle cose perfette in un momento perfetto. Era nata una nuova casa
editrice, io avevo un romanzo da darle. E ovviamente mi piaceva l’idea di
essere l’apripista. È un’idea quasi irresistibile.
Parliamo del romanzo. Come lo racconteresti a chi ti legge
in questa intervista? Da dove nasce la storia? Quando lo hai scritto?
La storia nasce molto lontano, almeno per me. Nasce nel
momento in cui ho ascoltato il primo disco che mi ha fatto pensare “non potrò
mai più farne a meno”. Poi quel sentimento cresce, a ogni album memorabile si
aggiunge un pezzo, a ogni concerto, ogni volta in cui ti sei trovato a
canticchiare una canzone e qualcun altro l’ha riconosciuta, ogni volta in cui
qualcuno si è messo a chiacchierare per via della maglietta che indossavi.
Volevo scrivere un libro sull’epica del rock, ma senza che fosse epico. Volevo
che fosse un libro strano, pieno di eventi bizzarri e anche un po’ paurosi, di
quelli da cui non riesci a distogliere lo sguardo anche se non ti fanno sentire
proprio a posto.
Se lo guardi bene, Il
Club dei Cantanti Morti alla fine è un giallo. Un giallo nel senso più
vasto del termine, perché, diciamo, c’è un mistero. Ognuno dei personaggi – e
sono parecchi – si avvicina al mistero dalla sua particolare angolazione e, se
vogliamo, il libro è anche su questo. Sì, Il Club dei Cantanti Morti è un libro
che parla di come-ci-avviciniamo-al-mistero.
Si può parlare di un romanzo rock? Dalla copertina, per non
parlare dei tanti personaggi che troviamo all’interno, il romanzo trasuda rock
a ogni pagina. Hai voluto metterci dentro i tuoi idoli musicali o ti sei mossa
seguendo una regola diversa?
In realtà i miei idoli assoluti non ci sono, o vengono solo
nominati, perché... sono riusciti a restare vivi, almeno la maggior parte di
loro. E, intendiamoci, potrei scrivere un’enciclopedia sugli Zeppelin. Potrei
scrivere di loro dalla mattina alla sera e sarei felice. E nelle mie parole ci
sarà sempre e solo riverenza nei confronti di Mr. Bowie. E, davvero, potrei
continuare molto a lungo. Ma sarebbe stato un mero esercizio
auto-gratificatorio, una fanfiction con dei personaggi reali. No, avevo una storia da raccontare. In questa
storia c’erano dei cantanti morti e c’era quel particolare sentimento di cui
dicevo, ma ho scelto i personaggi che mi servivano, non per forza quelli che ho
amato di più.
Leggendolo, mi sono emozionato in più di un passaggio ma,
soprattutto, ho riso come un matto quando Sonia Sinclair parla in prima persona
della sua triste storia: sicuramente uno
dei miei personaggi preferiti. Ti sei divertita a metterci dentro di tutto…
quindi, oltre che rock, è anche un romanzo pop?
Per forza. Come puoi fare un romanzo sul rock che non sia
anche intimamente pop? Il rock ha avuto un impatto devastante sulla cultura
pop. Sonia ne è il distillato.
Spiegaci che metodo usi per lavorare. Usi schemi, scalette,
aiuti particolari? Silenzio o musica sparata dalla stereo? Notte o giorno? E
tu… credi ai vampiri? J
No, no, niente schemi. Magari dovrei, eh. Però l’idea di
seguire uno schema finirebbe per farmi concentrare sullo schema e sul modo di
infrangerlo. Mi succede sempre così. Mi chiedono un racconto su, poni, i lupi
mannari e io scrivo la storia di uno con il lupus. È un problema. Quindi scrivo un po’ quello che mi viene in
mente e casomai cerco di far combaciare tutto in un secondo momento. Scrivo al
computer e decisamente senza musica. Ho delle difficoltà con il concetto di
“musica di sfondo”. Se c’è della musica per me è tutto il resto a diventare uno
sfondo e non vogli trovarmi a scrivere un romanzo di sfondo. Ma il rumore del
traffico, nella strada qua sotto, mi piace molto. Ogni circa dieci minuti passa
un autobus che dice, con una voce robotica, “Linea 3, Chiappa”. Sì, abbiamo un
quartiere che si chiama Chiappa, qua. Mi mette incredibilmente di buon umore.
Ermanno Sensi cosa direbbe di un romanzo come IL CLUB DEI
CANTANTI MORTI? Potrebbe benissimo essere uno dei personaggi se il romanzo non
fosse ambientato a Los Angels?
Bisognerebbe capire in quale ruolo. Se Ermanno fosse al
posto di Wyte? Be’, probabilmente piscerebbe sul cadavere di Razor, proprio
all’inizio, e il resto del romanzo sarebbe la sua disperata e infruttuosa
ricerca di un altro posto di lavoro.
Seriamente? Ermanno adorerebbe
questo libro.
Molto spesso, gli editor delle grandi case editrici,
scelgono le storie basandosi su rigidi schemi che forse, a un lettore,
interessano poco. Tu cosa ne pensi del target di riferimento? Sembra una
parolaccia oppure no?
A me piacerebbe molto capirci qualcosa, del target di
riferimento. Ma non ci ho mai capito una mazza e non credo che avverrà in
futuro. D’altronde, gli editor esistono appunto per questo.
Il romanzo parla anche di sesso – vedi il rapporto curioso
tra Nastasia e Lord Pennington – e lo fa in modo diretto e senza sbavature
inutili. Ti sei mai auto-censurata per una scena troppo spinta?
No, mai. Se devo descrivere un atto sessuale in ogni minuzia
lo faccio. Se serve. Se è utile alla storia. Se è inutile lo taglio, non perché
sia sesso, ma perché è inutile. Pennington e Scott-Greene erano due personaggi
così criptici e così freddi che avevo
bisogno di dar loro una chiave di lettura. E, in effetti, viene mostrato che
cos’è il sesso per loro, ma non viene mai mostrato come lo fanno. Mostrare il
come non avrebbe aggiunto niente. Anzi, secondo me avrebbe sottratto al lettore
la possibilità di immaginare il peggio. Quello che volevo che si capisse era il
perché, in modo che desse un perché anche a quei due personaggi così distaccati
e incomprensibili.
Se dovessi scrivere una sceneggiatura per un personaggio
Bonelli… chi sceglieresti?
Non amo lavorare su personaggi non miei. Come per gli
schemi, cerco sempre il punto in cui piantare il grimaldello per rompere la
gabbia, piuttosto che concentrarmi sul personaggio. L’unico che potrei
“adottare”, proprio perché lo vedo in modo magnificamente distinto nel mio
cervello, ora come ora è Lukas.
Ho partecipato da poco alla presentazione di un romanzo
fantasy di un autore italiano – pubblicato da Salani – e questo autore
difendeva il diritto di ambientare il fantasy nella realtà italiana. Tu cosa ne
pensi? Si può prescindere dai boschi del Maine e dalle brughiere scozzesi?
Certo. In fondo, per Stephen King è il Maine a essere
“casa”. Tutto può diventare strano e
inquietante, se visto attraverso la giusta lente. Ricordo un racconto di
Tommaso Destefanis ambientato in un campo da calcio di Massa Marittima in cui
una squadra di “locali” si trovava a giocare contro una squadra di fantasmi.
Faceva una paura micidiale. È solo il primo esempio che mi viene in mente.
No, anzi, aggiungo una provocazione. Il Cavaliere Inesistente,
per te, che cos’è? Un fantasy? E Il Visconte Dimezzato? E Il Barone
Rampante? Calvino era un autore fantasy?
Be’, no. E anche sì, in un certo senso. In un certo senso, nessun autore è più
horror di Shakespaere. Quindi, vedi, anche nella definizione stessa di genere tutto
è relativo, secondo me.
Scrivere è un modo per…?
Prendere parti di me e fargli sgranchire un po’ le gambe.
Se dovessi scegliere un attore per interpretare Jack Wyte..
. il protagonista del romanzo… chi sceglieresti?
Mmm. Hugh Jackman. Non perché Hugh Jackman sia poi così
simile a Wyte, ma perché, insomma, Hugh Jackman va bene un po’ a prescindere,
no?
Tre consigli utili per chi vuole scrivere e tre consigli per chi, invece, vuole vedere
le sue cose pubblicate.
Questa è una domanda intelligente. Infatti non credo che le
due cose debbano essere per forza collegate. Non mi azzarderei a dare consigli
di scrittura a nessuno se non questo: trovate il vostro modo. Il vostro modo
per farlo, no? Terry Pratchett definisce la scrittura “la cosa più divertente
che puoi fare da solo”. E il paragone,
per quanto irrispettoso, è ovvio. Quando
scrivi sai di che cosa hai bisogno, che cosa ti accende e come lo vuoi fare.
Immagino che quello sia il modo giusto.
In quanto al vedere le proprie cose pubblicate, temo di non
essere la persona giusta. La case editrici seguono le loro regole, che noi
mortali difficilmente capiamo. Ed è giusto così, eh. Quello che uno può fare è
vedere se per caso quello che ha scritto va bene per le complesse necessità di
una casa editrice. Sono sicura che ci sia anche un modo scientifico per farlo.
Una specie di equazione. Ma quando inizierò a scrivere seguendo
un’equazione vorrà dire che la mia vita
è davvero, davvero incasinata. Che ho i creditori alla porta o che la mafia mi
ha lasciaiato una testa di cavallo sul letto. Spero che non avvenga mai.
Un libro imperdibile?
Ho appena letto The Ocean at the End of the Lane di Neil
Gaiman. E lo definirei imperdibile, sì.
Un fumetto?
Volevo lasciar perdere i classici, ma... è stato da poco
pubblicato in Italia, per la prima volta in modo organico, Marshal Law. Non leggerlo sarebbe un peccato.
Un film?
Non so perché, ma mi è venuto in mente Il Concerto.
Un disco?
Riascoltavo Le Nuvole di De André, prima.
Un gesto?
Massaggiarmi i muscoli del collo. Più che imperbile,
inevitabile.
Se alzi gli occhi al cielo… cosa cacchio vedi?
Il solito albero. Quello centenario che il comune non può
buttare giù. Ha tutte le foglie verdi, ora, anche se qualcuna inizia a tirare
al giallo. Non mi spingo a dire che tutti dovrebbero avere un albero centenaio
da guardare, ma di certo male non fa.
Selfie d'autore con autrice e illustratore della magnifica copertina... il grande Armando Rossi!
Sono bellissimi e fighissimi... vero?
Foto rubata dalla pagina FB di Susanna! JJJ
Bell'intervista!
RispondiEliminaGrazie :-)
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